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Thomas Ruff, appena insignito dell’International Photography Lishui Award, torna per la sesta volta nella galleria di Lia Rumma, con cui collabora sin dal 1991, quando espose nella sede di Napoli. Ora, dal 15 novembre al 10 gennaio, è a Milano, dove i suoi lavori abitano tutti e tre i piani espositivi della galleria. Sono opere degli ultimi 25 anni, parte di sette delle serie da lui realizzate nella sua indagine ormai quarantennale sui limiti, le potenzialità e le specificità del medium fotografico.
Nato in Germania nel 1958, allievo per otto anni di Bernd Becher all’Accademia di Düsseldorf, dove poi è diventato a sua volta docente, Thomas Ruff (superfluo ripeterlo) è uno dei protagonisti di quella Scuola di Düsseldorf, forgiata da Berndt e Hilla Becker, che ha riscritto i codici della fotografia attraverso un approccio concettuale e sperimentale. Rispetto ai suoi maestri, tuttavia, Ruff ha orientato la sua ricerca sull’indagine della struttura («la grammatica», dice lui) della fotografia e l’ha fatto sviluppando numerose serie, diverse tanto per i temi quanto per la tecnica.
A Milano, partendo dal piano terreno, figurano cinque opere delle serie degli «untitled#», 2022, e delle «expériences lumineuses», 2024, i primi realizzati guardando alla fotografia sperimentale degli anni ’50 e ’60 (specie a quella di Etienne Bertrand Weill e di Peter Keetman e Heinrich Heidersberger) e servendosi di un cavo rotante d’argento ripreso con lunghe esposizioni, mentre le seconde (stampate su grandi tele) sono frutto dell’incontro di due soli elementi: il vetro e la luce. Al piano superiore sono esposti gli arazzi del ciclo «d.o.pe», acronimo del titolo del testo di Aldous Huxley The Doors of Perception, realizzati sovrapponendo diverse porzioni, ingigantite, di immagini del «frattale di Mandelbrot», così da creare l’illusione (alquanto lisergica, a ben vedere) di paesaggi alieni, o di vetrini di microscopio, mentre tutto è in realtà generato solo da numeri.
Insieme, accomunate dalla comune matrice numerica, sono esposte alcune opere della serie «zycles», ispirate alle illustrazioni dei campi magnetici di libri dell’800 sull’elettromagnetismo, da lui rielaborate con un programma 3D e trasformate in immagini quasi cosmiche. Infine, al secondo piano si trovano i lavori tratti dalla carta stampata, come i «nudes», con fotografie di corpi e di giochi erotici sfocate fino a elidere il contenuto, per valorizzare i soli valori formali, quelli della serie «press++», dove a vecchie immagini di giornali e riviste in bianco e nero sono sovrapposte le istruzioni per la stampa e le informazioni tecniche che figurano sul retro, e i «photograms», opere digitali che rendono omaggio alle fotografie sperimentali degli anni ’20 realizzate senza fotocamera, per mero contatto tra gli oggetti e la carta fotosensibile, ora realizzate da Ruff con un processo digitale sofisticato, che le conduce nel nostro tempo.
Thomas Ruff, «press++32.66», 2016. Courtesy Lia Rumma Gallery, Milano | Napoli