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Ecologista convinto sin da tempi in cui pochissimi si ponevano domande sui danni provocati all’ambiente dall’umanità, attivista politico militante per tutti gli anni ’70, e animatore della cultura giovanile e della creatività condivisa in Italia e nelle periferie del mondo, dal Nicaragua all’Africa, alle Riserve indiane negli Stati Uniti, Piero Gilardi (Torino 1942-2023) è stato un artista, teorico e intellettuale capace di cogliere assai per tempo i segnali del nuovo.
Sin dal 1985, infatti, si è cimentato con le nuove tecnologie e con l’arte digitale interattiva, che oggi rappresenta il nucleo delle collezioni del PAV-Parco Arte Vivente, il progetto grandioso (sei ettari verdi nell’area del Lingotto, a Torino, con studi, laboratori, mostre e installazioni ecologiche all’aperto) da lui avviato nel 2008.
Le sue opere più famose restano però i «Tappeti-natura», realizzati sin dal 1965 con un materiale innovativo come il poliuretano espanso, morbido al tatto e capace di riprodurre, se dipinto, una sembianza e una tattilità biologiche, ma per sua natura irrimediabilmente chimico, artificiale: il binomio Natura/Cultura è, del resto, il nucleo della ricerca di Gilardi.
Oltre 30 «Tappeti-natura», da «Mele cadute», 1968, a «Mitre su spiaggia verde», 2016, sono stati riuniti da Andrea Poleschi nella galleria Ambrosiana Arte per la mostra «Piero Gilardi. Ecosistemi 1:1» (dal 21 settembre al 20 ottobre, con testo in catalogo di Alessandra Troncone), titolo che s’ispira a una felice definizione data a quei lavori da Tommaso Trini.
Felice perché davvero quei ritagli di natura, a un primo sguardo, sembrano riprodurre fedelmente un frammento di natura in dimensioni reali, con frutti, fiori, ortaggi, tronchi e rami, ciottoli e conchiglie: perfetti i colori, perfette le screziature dei petali, perfette le scheggiature dei legni.
L’artificio si rivela subito nei margini netti che ritagliano artificiosamente i contorni di questi «tappeti» e nell’eccessiva, glassata, innaturale «piacevolezza» di cui sono portatori. La piacevolezza d’altronde è subito smentita dai germi del disfacimento che, come i frutti e le foglie della «Canestra» di Caravaggio, portano in sé e che a uno sguardo ravvicinato si rivelano come fossero stati «congelati» un attimo prima che il tempo e le leggi naturali compissero il loro lavoro.
Come scrisse Ettore Sottsass jr. su «Domus» nel 1966, «La natura di Gilardi non è né igienica né confortevole. [...] Non è una natura vittoriosa, non è una natura violenta né selvaggia, né felice. È una natura miserabile, in perdita. Una natura di mele cadute, di zucche da orto di periferia quando i fiori felici dei piselli e dei fagioli, le zinnie e le dalie sono sfiorite e i frutti sono stati raccolti, una natura di pannocchie di granoturco quando i papaveri di giugno, il grano di luglio e le pesche di agosto se ne sono andate e restano nei campi sterpi e radici sconvolte, una natura in perdita». Attualissima, purtroppo.

«Mele e susine» (1991) di Piero Gilardi

«Mitre su spiaggia verde» (2016) di Piero Gilardi

«Spiaggia a Santa Teresita» (2008) di Piero Gilardi

«Betulle» (1997) di Piero Gilardi