Veduta della mostra di Peter Doig a Sant’Andrea de Scaphis, Roma

Cortesia dell’artista e Sant’Andrea de Scaphis. Foto Daniele Molajoli

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Veduta della mostra di Peter Doig a Sant’Andrea de Scaphis, Roma

Cortesia dell’artista e Sant’Andrea de Scaphis. Foto Daniele Molajoli

Un quadro di Peter Doig nella Chiesa di Sant’Andrea de Scaphis

Il pittore scozzese stupisce esponendo una sola opera, ricca però di rimandi e significati, nella sua mostra romana presso lo spazio di Gavin Brown

Entrando dalla porticina aperta della chiesa sconsacrata di Sant’Andrea de Scaphis, si ha di fronte un grande dipinto, uno solo, senza titolo, né un comunicato stampa che ne accompagni la visione. Si tratta della mostra del pittore scozzese Peter Doig (Edimburgo, 1959) nello spazio di Gavin Brown a Roma (sino al 21 settembre).

Il quadro presenta due grandi leoni, uno sopra all’altro, che sembrano lottare sullo sfondo di un cortile aperto su un panorama di mare. Il piano pittorico è diviso in due parti, una principale e una più profonda, divise da una porta arcata e da una finestra. Il colore fulvo dei leoni colora la base del cortile per confluire nella spiaggia retrostante e degradarsi piano piano nella tonalità rosa dello sfondo. Lo spazio architettonico diventa co-protagonista, fungendo da connessione tra dentro e fuori, tra presente e passato. Sullo sfondo, si scorgono le figure stilizzate di due uomini in lotta.

Per la mostra romana Doig si è ispirato, nientedimeno che, all’opera più grande mai dipinta da Caravaggio: «La Decollazione di San Giovanni Battista» (1608), conservata nella cattedrale di San Giovanni a La Valletta, Malta. Le figure stilizzate sullo sfondo richiamano la scena principale di questo quadro, dove il santo viene afferrato per la testa dal suo boia, pronto col pugnale a recidergli il collo. La struttura compositiva è la stessa, ma l’ambientazione cambia dall’interno di una prigione a un cortile che dà sul mare. Nonostante l’apertura d’orizzonte, però, la vista è recintata da due insenature, alle estremità laterali della composizione.

Doig lavora per stratificazioni di immagini, sovrapponendole una sull’altra, ottenendo un effetto dinamico, quasi cinematico, che porta lo spettatore a muoversi con lo sguardo a destra e a sinistra del dipinto, sopra e sotto. L’artista utilizza dei pigmenti puri che mescola a dei solventi, e che danno un effetto opaco al colore. La scelta del rosa per lo sfondo, sembra suggerire un sentimento di empatia con Caravaggio, che si trovava in fuga dall’Italia in quegli anni, con l’accusa di omicidio e condanna a morte. L’idillio dell’isola assume una forma evanescente, fiabesca.

L’isola è un luogo caro al pittore, che ha vissuto a lungo con la sua famiglia a Trinidad, nei Caraibi. Già nel 2015, nell’opera «Rain in the Port of Spain» aveva dipinto un leone di fronte al carcere di Trinidad. Il leone è una figura ricorrente nelle sue opere, ed è ripreso dall’immaginario quotidiano delle strade di Trinidad, dove lo si incontra spesso dipinto sui muri o sulle magliette. È il leone di Giuda dei rastafariani e rappresenta Gesù Cristo. Doig è attratto dall’iconografia del leone, e dalla capacità di diventare simbolo che trascende culture e religioni.

La scelta di dipingere i leoni in una posa di prevaricazione, e di conseguente sottomissione, l’uno sull’altro, sembra sottolineare come, al di là delle varie interpretazioni, si tratti di due facce della stessa specie. Eppure, sono definite solo dalla gerarchia, dalla supremazia della forza e dall’elemento architettonico che sancisce chi debba rimanere dentro e chi fuori: la porta. La porta di Micene, una delle più antiche porte di una città occidentale, aveva la funzione di demarcare il territorio. La potenza di questo quadro risiede nella sintesi di pochi elementi figurativi attraverso i quali si regge una profonda interrogazione sulle radici della storia socioculturale dell’Occidente, così come sui conflitti territoriali attualmente in corso.

Luciana Fabbri, 08 luglio 2024 | © Riproduzione riservata

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