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Elena Pontiggia ripercorre nel Centro Culturale di Milano l’attività dell’artista romagnolo che sperimentò tra il Futurismo, il Novecento Italiano e il Realismo magico
- Michela Moro
- 15 aprile 2025
- 00’minuti di lettura


Esodo Pratelli, «Estate», 1930 (particolare)
Un secolo di arte con Esodo Pratelli
Elena Pontiggia ripercorre nel Centro Culturale di Milano l’attività dell’artista romagnolo che sperimentò tra il Futurismo, il Novecento Italiano e il Realismo magico
- Michela Moro
- 15 aprile 2025
- 00’minuti di lettura
Michela Moro
Leggi i suoi articoliEsodo Pratelli ha avuto una lunga vita (nato nel 1892 a Lugo, Ravenna, è morto novantunenne nel 1983 a Roma) durante la quale l’arte, in vari aspetti, è sempre stata il filo conduttore. Elena Pontiggia, curatrice della mostra «Esodo Pratelli. Dal futurismo al “Novecento” e oltre» (dal 17 aprile al 13 maggio) nel Centro Culturale di Milano, richiama l’attenzione sull’artista e sulla sua pratica nell’arte che spazia lungo il secolo scorso.
Pratelli vive in un ambiente eclettico, ha contatti con Boccioni, Carrà, Severini, Marinetti, Gris, Delaunay, Sironi, grazie anche ai numerosi viaggi e permanenze a Parigi e Roma, dove si è diplomato all’Accademia di via Ripetta. Si avvicina al Futurismo, e nel 1913 progetta i bozzetti per le scene e i costumi dell’opera lirica del cugino Balilla dal titolo «L’aviatore Dro» (1913). È la sua prima progettazione scenografica, di carattere futurista, che avrà seguito nella professione più legata allo spettacolo. Si avvicina poi al Novecento Italiano, con una moderna classicità in cui trova la sua migliore cifra artistica, che rimarrà tale anche quando si sposta verso il Realismo magico; siano i paesaggi o le scene di intimità familiare, rimane nei suoi dipinti il fascino e la sicurezza dell’artista.
Partecipa alla Prima Mostra del Novecento Italiano alla Permanente, Carrà lo pone tra gli artisti che «sono dei realisti e degli idealisti della materia che si fanno distinguere per la ricerca strutturale e i profondi accordi cromatici». Espone a Biennali e a innumerevoli mostre internazionali, Margherita Sarfatti lo include tra gli «artisti provetti». Professionalmente molto attivo, collabora alla nascita della Corporazione delle Arti Plastiche, insegna e dirige a Milano la Scuola d’Arte Applicata del Castello Sforzesco (1924-34), nel 1931 è nella Prima Quadriennale di Roma; nel 1935 lascia Milano per tornare a Roma, dove alla fine degli anni Trenta debutta nel cinema come sceneggiatore e regista realizzando tra l’altro «Pia de’ Tolomei», «Se non son matti non li vogliamo» e «A che servono questi quattrini?» con Eduardo e Peppino De Filippo. Nella seconda metà degli anni Cinquanta riprende l’attività pittorica, che prosegue fino agli ultimi anni della sua vita. La monografia di Elena Pontiggia, edita da Silvana Editoriale, accompagna la mostra.