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«Giuditta decapita Oloferne» (1612 circa) di Artemisia Gentileschi (particolare)

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«Giuditta decapita Oloferne» (1612 circa) di Artemisia Gentileschi (particolare)

Variazioni su Giuditta

A Palazzo Barberini un affondo storico e critico sul tema pittorico di Giuditta e Oloferne

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Arianna Antoniutti

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La mostra «Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento», visibile dal 25 novembre al 27 marzo presso Palazzo Barberini, è un affondo storico e critico sul tema pittorico di Giuditta e Oloferne. L’occasione è offerta da due anniversari legati all’olio su tela di Caravaggio «Giuditta decapita Oloferne» custodito dal museo romano: i cinquant’anni dalla sua acquisizione da parte dello stato italiano, e i settant’anni dalla sua riscoperta. L’opera, difatti, venne riconosciuta nel 1951 come autografo caravaggesco dal restauratore Pico Cellini.

Con la cura di Maria Cristina Terzaghi sono ora in esposizione, accanto al dipinto realizzato nel 1599 da Caravaggio per il banchiere ligure Ottavio Costa, trenta opere in prestito da musei nazionali e internazionali. Alcune di esse costituiscono interessanti precedenti della rappresentazione caravaggesca, così intensamente segnata dalla violenza della messa in scena, è questo il caso dei dipinti di Pierfrancesco Foschi (1502-67) o di Lavinia Fontana (1552-1614). Ai Gentileschi, e alla loro elaborazione del soggetto, è dedicata un’intera sezione della mostra, con opere quali «Giuditta e la fantesca con la testa di Oloferne» 1608-09, dal National Museum of Art di Oslo, del padre Orazio, e «Giuditta decapita Oloferne», 1612 circa, da Capodimonte, della figlia Artemisia.

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«Giuditta decapita Oloferne» (1612 circa) di Artemisia Gentileschi (particolare)

Arianna Antoniutti, 24 novembre 2021 | © Riproduzione riservata

Variazioni su Giuditta | Arianna Antoniutti

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