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Redazione GdA
Leggi i suoi articoli«Una civile residenza, larga e piana, aperta e accogliente, piena di stanze illuminate da grandi finestre, aperte al governo e all’amministrazione, e di tante altre per gli incontri sociali, per la musica, i libri, gli strumenti, la pittura […]. Il palazzo è ancora adesso misurato e disteso dagli stessi principi e dalla stessa aria; […] Visitarlo con attenzione, con la voglia viva di capire e di imparare, è un vostro dovere più che di turisti, di uomini civili». Così lo scrittore urbinate Paolo Volponi (1924-94) nelle sue Cantonate di Urbino descriveva l’edificio, reso un simbolo del Rinascimento da Federico da Montefeltro. Ora lo racconta la mostra «Il Palazzo ducale di Urbino. I frammenti e il tutto» dal 27 aprile al 5 novembre nella Galleria Nazionale delle Marche che qui ha casa.
Curata da Luca Molinari e dal direttore del museo Luigi Gallo, con foto, illustrazioni e documenti nelle sopralogge al primo piano e nella corte, la rassegna si focalizza sull’edificio e sulle sue stratificazioni perché nei secoli è stato anche Legato pontificio, carcere, prefettura, liceo con palestre nei sotterranei, ed è museo statale dal 1912. «L’esposizione è il frutto di un lavoro di anni portato avanti anche grazie alla collaborazione con l’Isia di Urbino e con il dottorato di ricerca architettura teoria e progetto dell’Università La Sapienza di Roma», rimarca Gallo.
«Quella che pensiamo come un’immagine definitiva non corrisponde alla realtà perché a distanza di pochi decenni i Della Rovere realizzeranno il secondo piano del Palazzo e i suoi interni verranno poi svuotati drammaticamente a partire dal 1631», avverte Molinari. Tra gli approfondimenti, uno è sul rapporto tra la geometria e l’edificio. Il catalogo Marsilio include una lezione di Manfredo Tafuri.

Uno scorcio del Cortile d’Onore del Palazzo Ducale di Urbino