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«Running Fence, Sonoma and Marin Counties, California» (1972-76) di Christo and Jeanne-Claude. Foto Jeanne-Claude © 1976 Christo and Jeanne-Claude Foundation

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«Running Fence, Sonoma and Marin Counties, California» (1972-76) di Christo and Jeanne-Claude. Foto Jeanne-Claude © 1976 Christo and Jeanne-Claude Foundation

Wolfgang Volz ha spiato Christo e Jeanne-Claude

La mostra al Castello di Miradolo è l’occasione per incontrare il fotografo che per oltre quarant’anni ha affiancato la coppia di artisti

Carla Testore

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Wolfgang Volz (1948) è il fotografo tedesco di nascita ma svedese di residenza che per oltre quarant’anni ha affiancato Christo e Jeanne-Claude. Dopo aver frequentato una delle migliori scuole di fotografie di Essen in Germania, nel 1971 incontra i due artisti, diventando, con il suo lavoro di fotografo, una presenza imprescindibile. L’inizio di ogni loro progetto, infatti, partiva dalla fotografia ed erano le sue fotografie che, una volta smantellata l’opera, consentivano di conservare nel tempo memoria del lavoro dei due artisti.

Per 45 anni il fotografo (che era anche il loro direttore tecnico) ha spiato Christo e Jeanne-Claude dalla lente della sua Nikon: «Non c’era più bisogno che ci parlassimo: ci siamo piaciuti subito, ho vissuto con loro, siamo stati un team. È una di quelle relazioni che non finiscono mai», ricorda. In occasione della mostra «Christo e Jeanne-Claude Project», in corso fino al 16 aprile nel Castello di Miradolo di San Secondo di Pinerolo (To), l’abbiamo intervistato.

Qual è stato il suo primo incontro con Christo e Jeanne-Claude?
Nel 1968 ero un aspirante studente di fotografia e mentre stavo valutando varie scuole tra cui scegliere quella da frequentare ho cominciato a informarmi su quella di Kassel, in Germania. In estate ci sono andato, vi si stava svolgendo la quarta edizione di documenta. Un giorno, mentre facevo una passeggiata nel parco Karlsaue, all'improvviso mi sono trovato di fronte a quella che mi pareva una gigantesca mongolfiera (alta 70 metri) a forma di pene. Ho scattato una sola fotografia. Era esaltante pensare che una «cosa» del genere potesse essere arte. Aveva un aspetto fantastico. Avevo appena iniziato a interessarmi di fotografia e quello è stato il mio primo incontro con l'arte di Christo e Jeanne-Claude, che erano stati invitati a partecipare a documenta 4 con il loro «Air Package», l’opera di cui tutti parlavano in città, anzi in tutta la Germania. Per me è stato un breve capitolo, una delle tante cose che ho trovato interessanti, ma mi è rimasto impresso nella memoria. Poi, nel 1971, Christo e Jeanne-Claude sono stati invitati da Harald Szeemann a partecipare a documenta 5.

Dopo questo primo incontro, che cosa è successo?
In quel momento Christo e Jeanne-Claude erano impegnati nella costruzione della «Valley Curtain» a Rifle, in Colorado. Purtroppo il primo tentativo non andò a buon fine e il progetto fu rimandato al 1972. All'inizio del 1971 ho avuto l'opportunità di incontrare Christo di persona mentre stava installando una piccola opera d’arte a Krefeld, in Germania. Christo era solo perché Jeanne-Claude stava lavorando alla «Valley Curtain» a New York, dove vivevano dai primi anni Sessanta. In autunno ricevetti una telefonata da Christo in persona (un onore eccezionale, visto che Christo odiava il telefono), che mi chiese se fossi interessato a lavorare con loro a documenta 5. Erano stati invitati, ma non avrebbero potuto partecipare perché impegnati nell’installazione della «Valley Curtain» in Colorado, originariamente prevista per il 1971. Mi proposero di installare uno stand informativo a documenta 5 per raccontare ai visitatori ciò che stava accadendo con la «Valley Curtain» in Colorado. Non era esattamente quello che mi aspettavo, ma era comunque una proposta entusiasmante. Accettai volentieri e in cambio chiesi di fare un viaggio in Colorado per fotografare la loro nuova installazione. All’epoca Christo e Jeanne-Claude lavoravano con Harry Shunk e János Kender che erano i loro fotografi personali. Fu una grandissima emozione fotografare la «Valley Curtain», che rimase in piedi solo 28 ore, perché poco dopo una raffica di vento di quasi 200 km all'ora strappò quella che doveva essere la tenda di un sipario trasformandola in una bandiera. I due artisti furono comunque entusiasti del risultato («È proprio come i disegni», commentarono), tanto che alla fine Christo e Jeanne-Claude scelsero molte delle mie fotografie per la mostra di documentazione e per il libro sulla «Valley Curtain».

Quale è stato il motivo per cui Christo e Jeanne-Claude la cercarono?
Harry e János litigarono e decisero di abbandonare del tutto la fotografia. Così, improvvisamente, si aprì uno spazio e io, con un gran colpo di fortuna, ebbi la possibilità di riempirlo. Fu in questo modo che divenni provvisoriamente il fotografo di Christo e Jeanne-Claude. Una svolta inaspettata! Così ho potuto fotografare il «Running Fence», le «Wrapped Walk Ways», le «Surrounded Islands» e tutti i progetti successivi fino alla morte di entrambi gli artisti. Mi mancano molto.

La sua visione fotografica (prima o durante la realizzazione di un’opera) ha mai influenzato le sembianze di quell’opera (penso al colore di un tessuto, al materiale da usare, all’estensione della superficie da ricoprire ecc.)?
Una volta che il progetto era «avviato», insieme eravamo tutti coinvolti nella definizione dei dettagli, quali la scelta dei materiali, la progettazione delle parti meccaniche e i colori. Tutti fungevamo da consulenti e le mie responsabilità in quanto fotografo del progetto comprendevano sicuramente la cura dell'aspetto visivo del progetto nel suo complesso.

Come interagiva Christo con le sue fotografie?
Christo utilizzava le mie fotografie, perlopiù in bianco e nero, come base per i suoi collage. Disegnava direttamente sulle fotografie con penne e matite di ogni tipo. Il risultato era sempre un’immagine che assomigliava all’opera realizzata. La vendita di questi collage e disegni permetteva di pagare la realizzazione dei progetti.

Che cosa ha pesato di più sul successo della vostra lunga collaborazione?
Tutto ciò che facevamo era basato sulla fiducia reciproca, che stabilizzava tutte le nostre attività e rendeva possibile un rapporto di questo tipo.

Qual è il luogo nel quale è stato più emozionante lavorare?
Il loro lavoro che mi ha toccato di più dal punto di vista emotivo è stato «Running Fence», un’installazione di per sé molto emozionante e molto romantica (realizzata tra il 1972 e il ’76, consisteva in una recinzione di tessuto di nylon lunga 39,4 km che si estendeva nel Nord della California, Ndr).

Più volte Christo e Jeanne-Claude sono venuti in Italia: a Spoleto, Milano, Torino, sul Lago d’Iseo. Qual era il loro rapporto con l’Italia?
Christo e Jeanne-Claude erano innamorati dell’Italia e lo sono anch'io.
 

«Running Fence, Sonoma and Marin Counties, California» (1972-76) di Christo and Jeanne-Claude. Foto Jeanne-Claude © 1976 Christo and Jeanne-Claude Foundation

Carla Testore, 02 novembre 2022 | © Riproduzione riservata

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