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Margherita Panaciciu
Leggi i suoi articoliImmaginate di entrare in uno spazio che non solo vi circonda, ma vi attraversa. Un luogo dove il suono non è solo qualcosa che arriva dalle cose, ma è una presenza viva. È questa la sfida che Marzio Zorio lancia con «Nel solco della voce», la sua ultima mostra, ospitata dalla Galleria Umberto Benappi con il supporto di Riccardo Pietrantonio a Sansicario Alto, in collaborazione con Galleria 10&zerouno di Venezia, nell’ambito della rassegna ESPOSTA. ARTE AD ALTA QUOTA. Un’esperienza che trasforma il semplice atto di ascoltare in un'esplorazione profonda, un dialogo continuo tra il corpo, il suono e la memoria. La voce, spesso ridotta a strumento di comunicazione, qui si fa qualcosa di più. Non è più solo mezzo, ma materia, traccia, vibrazione.
È la voce che non ha bisogno di parole, quella che esiste prima e dopo il linguaggio, quella che vive nel silenzio, nel «non ancora» e nel «non più». Questo è il terreno di gioco di Zorio, che, insieme alla curatrice Valentina Muzi e e con il supporto della Galleria Umberto Benappi, trasforma la galleria in uno spazio in cui il suono e il corpo si intrecciano, creando un paesaggio da percorrere con le orecchie, ma anche con il corpo, la mente e le emozioni. Quando Giorgio Agamben parla della voce come «non-più» e «non-ancora», ci invita a pensare a quel fragile punto di contatto tra l’animale e l’umano, tra l’istinto e la parola. Zorio affonda in quella zona grigia e la rende visibile. Le sue opere sono un invito a spostarsi oltre la convenzione, a esplorare il suono nella sua forma più primitiva e, al contempo, più sofisticata.

Marzio Zorio, «BUSSOLE (Serie)», 2023. Courtesy l’artista
«La mostra è nata in dialogo con Valentina Muzi con cui sto sviluppando diversi progetti. Facendo una ricerca approfondita dei miei lavori ci siamo imbattuti in un tema che unisce alcune opere realizzate dal 2018 ad oggi, ovvero quello della voce. In occasione della mostra abbiamo messo insieme diversi lavori che parlassero della vocalità e di tutte le sfaccettature che la contraddistinguono, passando dalla sfera non umana a quella umana, che partisse dall'idea vocale (ancora non definita) fino al suo sviluppo più concreto: la scrittura. Il luogo di questa mostra non poteva essere più adatto. Con la galleria di montagna ci troviamo figurativamente in cima, in un punto panoramico che dà sulla valle. Che poi, altro non è che un solco, come quello delle prime registrazioni audio. L'intento è quello di offrire al pubblico un punto di vista, di dargli l'opportunità di posizionarsi al bordo di un disco e vedere il solco di un'invasione audio. Ritornando al rapporto che unisce voce e scrittura, ricordiamo che le prime scritture dell'essere umano erano cuneiformi, quindi: superfici tridimensionali, scritture incavografiche, dei vuoti per dare forma (e significato) al concetto umano tramite dei solchi», ha raccontato a «Il Giornale dell’Arte» l’artista.
È un suono che non ha confini netti, ma che ci porta in un limbo, una sorta di spazio sospeso tra la chiarezza del linguaggio e la confusione del silenzio. In «Mitopoiesi (Stupor vacui – sirene)», la voce si fa suono estraneo, quasi alieno, racchiuso in involucri di vetro. Non è più la voce umana, ma qualcosa di più lontano, una sirena che chiama, che attrae ma non rivela mai pienamente. Poi c’è «Biblioteca», un’installazione che sembra un invito a leggere il suono, a decifrare il suo codice segreto. Le barre di legno incise non sono solo materiale, ma spartiti silenziosi, pronti a restituire una melodia, un messaggio che non si percepisce a livello razionale, ma che vibra nell’aria, sotto la pelle. E ancora, in «Moti umani», lunghe bobine di carta si trasformano in testimoni di un gesto collettivo, l’impronta di un movimento che diventa suono. Il corpo, il gesto, la memoria del movimento si cristallizzano in un paesaggio sonoro che ci racconta una storia senza parole. Infine, «Bussola» è l’installazione che ci guida e ci disorienta, come una bussola che non punta mai davvero a nord. La voce qui non è più chiara, non dà risposte, ma ci invita a camminare, a esplorare, a cercare direzioni nuove, in un ascolto che è ricerca e intuizione.

Marzio Zorio, «BIBLIOTECA», 2021. Courtesy l’artista
Zorio non è nuovo a queste esperimentazioni, e la sua biografia è una continua ricerca tra le arti visive e sonore. Nato a Moncalieri (Torino) nel 1985, ha sviluppato negli anni un linguaggio che intreccia il suono con l’architettura, lo spazio, il corpo. Ha collaborato con artisti come Nicolas Jaar, progettando strumenti musicali che sfidano le convenzioni, e ha creato performance che mescolano il concetto di concerto e installazione. Ha inoltre fondato il collettivo SONRO, un gruppo che promuove pratiche sonore nell’ambito delle arti visive, cercando di superare le barriere tra le diverse discipline artistiche. «Ho conosciuto Zorio qualche anno fa…ci siamo rincorsi, come spesso accade tra galleristi e artisti, dichiara Umberto Benappi, poi una curatrice, Valentina Muzi, ha messo un punto fermo tra di noi! Studio visit, video call, tante idee, progetti pensati e poi ESPOSTA. Il resto si vedrà siamo tutti giovani naviganti (e) sognatori».