È un momento di evidente, perdurante attenzione espositiva per il lavoro di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964), del resto ormai un nome italiano ben saldo nelle quotazioni economiche e nella diffusione della sua figura presso gli importanti mercati anglosassone e asiatico.
Ora dal 6 gennaio al 30 aprile tocca all’Estorick Collection diretta da Roberta Cremoncini offrire un’ulteriore «spinta» esponendo per la prima volta nel Regno Unito l’intera, intima e amplissima raccolta dei Morandi della Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo (Pr).
L’appuntamento, ideato per i venticinque anni di attività del museo londinese e curato dalla direttrice Cremoncini insieme ad Alice Ensabella, anticipa inoltre di alcuni mesi l’antologica sull’artista che aprirà a inizio autunno a Palazzo Reale di Milano. Ma già ora in Italia il Museo Morandi-MAMbo di Bologna espone 27 lavori morandiani dell’appartata collezione milanese di Antonio e Matilde Catanese.
La trasferta di Morandi a Londra alla Estorick è inoltre un «ritorno» del pittore visto che nella metropoli inglese negli ultimi anni è stato, ad esempio, esposto nel 2017 alla Galleria Robilant+Voena e nel 2001 alla Tate Modern e sempre alla medesima Estorick. Ma qui l’unicum è dato dal prestito, reso possibile dal direttore scientifico della Magnani Rocca Stefano Roffi, di tutti i lavori conservati nella campagna parmense, dando vita a un percorso caratterizzato da 50 tra dipinti, disegni e incisioni di Giorgio Morandi.
La partenza è affidata a un autoritratto del 1925 sul quale nel 1982 Luigi Magnani (1906-84), il musicologo dal 1939 grande amico del maestro che ha raccolto l’intero corpus morandiano ora esposto a Londra, disse: «Quando Morandi si pone dinnanzi allo specchio per ritrarsi o quando fa posare un modello, si sente condizionato dal dato fisionomico che ostacola la sua tendenza a evadere dal reale e a trasfigurarlo in una identità nuova» (cfr. Il mio Morandi, Einaudi, Torino 1982).
Tra le opere ordinate nelle prime sale altre due sono imprescindibili nel percorso del bolognese: la «Natura morta metafisica» del 1918 e la «Natura morta con strumenti musicali» del 1941. Il primo olio, acquistato in asta da Magnani nel 1973, è una delle sei testimonianze metafisiche del movimento seguito e l’unico in cui il manichino «dechirichiano» compare dimezzato; altrettanto rari gli strumenti musicali del ’41, probabilmente unica opera eseguita su commissione, appunto, dell’amico Magnani.
Il resto del percorso espositivo prosegue con i «classici» paesaggi, bottiglie, dipinti di fiori, soggetto del quale, secondo Cesare Brandi, Morandi era «gelosissimo», oltre a diversi disegni, acquerelli e numerose acqueforti.
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