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«Calvario» (frammento della Pala di Matelica, 1504-05), di Luca Signorelli. Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection

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«Calvario» (frammento della Pala di Matelica, 1504-05), di Luca Signorelli. Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection

Signorelli, pittore scultoreo «di bizzarra e capricciosa invenzione»

Nel cinquecentenario della morte del maestro toscano, Tom Henry ha riunito una trentina di capolavori di tutti i decenni della sua attività. Per i raffronti sono fondamentali gli itinerari nel territorio, per esempio a Orvieto a vedere il «Finimondo»

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Laura Lombardi

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«Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia», la mostra dedicata al maestro di cui ricorre il cinquecentenario della morte, è a cura di Tom Henry. È promossa dal Comune di Cortona e dal Maec-Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona, che la ospita dal 23 giugno all’8 ottobre, sotto l’egida del Comitato Nazionale per le celebrazioni istituito dal Mic (organizzata da Villaggio Globale International).

Signorelli (Luca d’Egidio di Ventura, Cortona, 1450 ca-Cortona, 16 ottobre 1523) ebbe una carriera molto varia nel corso di sei decenni e tra i suoi committenti ci furono mecenati quali Pandolfo Petrucci il Magnifico, Lorenzo de’ Medici, papa Sisto IV e papa Giulio II. La mostra di Cortona offre un’occasione straordinaria di vedere riunite opere che si trovano in tanti luoghi d’Italia ed esteri.

Ben 11 dipinti risalgono agli anni giovanili (quelli meno rappresentati dalle opere rimaste in città) e, ad aprire la mostra, è la «Presentazione al tempio», proveniente da una collezione privata americana, dipinta quando Signorelli si trovava ancora nella bottega di Piero della Francesca. Vi sono inoltre il «Crocifisso con santa Maria Maddalena» in prestito dagli Uffizi, datato dal curatore 1495-96 e realizzato per il convento delle monache domenicane di Annalena, forse commissionato dallo stesso Lorenzo de’ Medici, di cui la prima badessa era stretta confidente; oppure il tondo (poi trasformato in ellissi in epoca moderna) prestato dalla Fondazione Jacquemart-André di Parigi, molto amato da Bernard Berenson e il cui recente restauro (2022) ha fatto riemergere le stelle d’oro sul panneggio della Vergine.

Sempre anteriori al 1500 sono i tondi Pitti e Corsini, ma anche l’«Adorazione di Gesù Bambino» (1493-96) del Museo di Capodimonte, proveniente dalla Chiesa di Sant’Agostino a Città di Castello, distrutta nel XVIII secolo dal terremoto e ricostruita grazie alla vendita del dipinto di Signorelli. Abbiamo incontrato Tom Henry, professore emerito all’Università di Kent e già direttore della Scuola di Studi Classici e Rinascimentali dell’Università inglese a Roma, massimo esperto di Signorelli, artista che Vasari, nel chiudere la seconda parte delle Vite, indicò come colui che «col fondamento del disegno, e delli ignudi particolarmente, e con la grazia della invenzione e disposizione delle istorie, aperse alla maggior parte degli artefici la via all’ultima perfezzione dell’arte».

Professor Henry, quale taglio ha scelto per questa mostra?

Ho scelto di concentrarmi solo su Signorelli, riunendo opere tutte di altissima qualità, circa una trentina di capolavori, esposti in soli due ambienti. È una scelta precisa, che quindi esclude volutamente il confronto con altri maestri, come invece avviene ad esempio nella mostra di Perugino ora in corso alla Galleria Nazionale dell’Umbria. Con questo non intendo dire che quella via non sia giusta: è solo un’altra scelta. A me interessa rendere partecipe il visitatore di un’esperienza molto intensa, che ripercorra tutta la carriera di Signorelli attraverso opere che testimoniano tutti i decenni della sua attività. La disposizione delle opere in due sale permette di avere una visione globale, di cogliere meglio la grandezza dell’artista, le sue straordinarie qualità di colorista, pittore scultoreo (fin dall’angelo Gabriele dell’«Annunciazione» di Volterra, firmata e datata 1491) e iconografo interessantissimo, grazie a cui riveste un ruolo essenziale nell’arte del Rinascimento.

I confronti con artisti del suo tempo possono invece avvenire negli itinerari che sono momento fondamentale di completamento dell’esposizione (il catalogo e una guida Skira).

Certamente. La mostra comprende, ad esempio, le opere esposte al Museo Diocesano e nella Chiesa di San Niccolò, poi gli itinerari a Monteoliveto Maggiore, dove dipinge anche Sodoma, e a Castiglion Fiorentino dove c’è Bartolomeo della Gatta, e naturalmente l’itinerario di visita al Duomo di Orvieto.

Vasari indica l’arte di Signorelli come cardine tra ’400 e ’500. Dove si può cogliere maggiormente la sua influenza e che cosa più caratterizza la sua arte?

Signorelli è fondamentale per capire Raffaello ma soprattutto Michelangelo, con la cui arte c’è relazione molto stretta e forte. Per la Cappella Sistina sono infatti fondamentali gli affreschi nel Duomo di Orvieto. Signorelli ha un intelletto acutissimo, che dà poi forma alla sua immaginazione ed è un artista molto sofisticato, capace di reinterpretare in maniera del tutto originale i soggetti. Vasari esalta infatti la ricchezza di «bizzarra e capricciosa invenzione» degli affreschi di Orvieto e, descrivendo il «Finimondo», annota che Signorelli lo dipinse «immaginandosi il terrore che sarà in quell’estremo tremendo giorno».

Una mostra concepita come un concentrato di gemme preziose, con alcuni restauri compiuti per l’occasione, quali, ad esempio, il tondo raffigurante «La Vergine e il Bambino con santi» dell’Accademia Etrusca di Cortona. Quali sono le proposte più significative?

Abbiamo ottenuto prestiti davvero importanti. Per l’attività giovanile, ad esempio, giunge dalla National Gallery di Dublino il «Cristo in casa di Simon il Fariseo», uno dei pannelli della Pala Bichi, opera della prima maturità realizzata per la Chiesa di Sant’Agostino a Siena, mentre dall’High Museum of Art di Atlanta provengono i due preziosi pannelli con la «Nascita» e «Il miracolo di san Nicola» (1508-10 ca), parti della predella della pala bifronte che si trova tutt’ora sull’altare maggiore della piccola Chiesa dell’Oratorio di San Niccolò a Cortona, per la prima volta di ritorno in Italia dagli Stati Uniti. La National Gallery di Washington presta un frammento della «Pala di Matelica», realizzata nel 1504-05 per la Chiesa di Sant’Agostino a Matelica, smembrata e dispersa per il mondo a metà del XVIII secolo, della quale in mostra proponiamo una ricomposizione, per quanto possibile, unendo questo frammento a quello dalla National Gallery di Londra, ad altri due frammenti da collezioni private inglese e italiana e a due dai Musei Civici e dalla collezione d’arte UniCredit di Bologna. Notevole è inoltre il ricongiungimento del Polittico della Chiesa di Santa Lucia a Montepulciano, raffigurante la «Madonna e il Bambino in trono» con la sua predella (ora agli Uffizi), nella quale Signorelli mostra tutta la sua vena narrativa.

Quali sono state le altre grandi mostre dedicate a Signorelli?

La prima molto importante fu a Londra nel 1893, poi nel 1953 ci furono mostre a Firenze e Cortona. La più recente è stata quella del 2019 ai Musei Capitolini.

Ci sono nuove attribuzioni?

Non specificamente formulate per questa mostra, ma aggiornate agli studi compiuti su Signorelli negli ultimi quarant’anni.

«Calvario» (frammento della Pala di Matelica, 1504-05), di Luca Signorelli. Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection

«Cristo in casa di Simone il Fariseo» (1488-89), di Luca Signorelli (particolare). Dublino, National Gallery of Ireland

Laura Lombardi, 19 giugno 2023 | © Riproduzione riservata

Signorelli, pittore scultoreo «di bizzarra e capricciosa invenzione» | Laura Lombardi

Signorelli, pittore scultoreo «di bizzarra e capricciosa invenzione» | Laura Lombardi