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Una veduta della mostra «Space Junk», 2020, Museion, Bolzano

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Una veduta della mostra «Space Junk», 2020, Museion, Bolzano

Spazzatura spaziale

Sonia Leimer al Museion di Bolzano

Camilla Bertoni

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«Tutto è iniziato un giorno di dieci anni fa». Così spiega la sua passione per lo spazio Sonia Leimer, l’artista meranese di nascita (1977) e viennese d’adozione, mentre allestisce la mostra «Space Junk», a cura di Letizia Ragaglia e Frida Carazzato, visitabile fino al 17 gennaio al Museion. In quel giorno di dieci anni fa Sonia Leimer, vincitrice nel 2018 dell’Italian Council, ha iniziato a collaborare con un astronauta americano.

Da qui è partito il suo interesse per un tema che fa da filo conduttore alla sua prima personale in Italia, strettamente legato alla riflessione sul futuro della Terra. Il rimando è evidente fin dalle sculture che riproducono rottami spaziali che danno il titolo alla mostra, ma rimbalza anche ai magneti appesi alla grande parete-scultura semicircolare che attraversa lo spazio espositivo, rivestita di una vernice metallica.

«I magneti sono fatti di un materiale in via di esaurimento, spiega l’artista, come molte delle risorse cui attingiamo dalla Terra. Su di essi sono attaccati i rivestimenti per l’isolamento dei mezzi utilizzati dall’agenzia spaziale Lesa sui quali sono serigrafate foto di pezzi di asfalto che riecheggiano i nostri “blindspot”, i nostri “buchi neri” interiori. Un gioco di rimandi che riconduce sempre alla stessa riflessione: mentre crediamo che la tecnologia ci renda “puliti”, la Terra e lo spazio sono sempre più pervasi dai rifiuti che produciamo». L’artista racconta l’ombra cupa di un progresso tecnologico che dietro una facciata scintillante nasconde grandi problematiche etiche ed ecologiche, dando forme diverse ai suoi interrogativi e lasciando aperte le risposte.
 

Camilla Bertoni, 15 novembre 2020 | © Riproduzione riservata

Spazzatura spaziale | Camilla Bertoni

Spazzatura spaziale | Camilla Bertoni