Mancava Milano nella storia espositiva planetaria di Bill Viola, nato a New York nel 1951, in una famiglia di origini italo-americane. Ora, fino al 25 giugno, questo maestro della videoarte giunge a Palazzo Reale, nella mostra promossa da Milano-Cultura, organizzata dallo stesso Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Bill Viola Studio e commentata da una monografia (Skira) curata da Valentino Catricalà e Kira Perov. Nella rassegna milanese vanno in scena 15 opere fondamentali del suo ormai quarantennale percorso creativo nell’arte visiva (dopo la musica elettronica, la performance art, i film sperimentali) stimolato, sin dal 1974, da un soggiorno di un anno e mezzo a Firenze.
Qui, mentre lavorava accanto ai maestri dell’avanguardia internazionale (Buren, Baldessari, Kaprow e i nostri poveristi, che si avvicinavano al linguaggio video) nel pionieristico studio di videoarte Art/tapes/22, Bill Viola s’immergeva nell’arte del Trecento e del Rinascimento, rimanendone sedotto. Una lezione che non avrebbe più dimenticato e che avrebbe in seguito intrecciato con il pensiero filosofico orientale e occidentale, in un’indagine sull’uomo e sulle grandi domande che da sempre lo accompagnano, ma anche sul rapporto dell’umanità con l’ambiente naturale.
Spettacolari, costruiti con grande sapienza cinematografica, fondati su una competenza tecnologica sempre più complessa, e capaci di toccare nel profondo l’osservatore per l’universalità dei temi affrontati, i suoi lavori si avvalgono di una simbologia tanto forte quanto primordiale: dell’acqua e del fuoco soprattutto, metafore primigenie della vita e della morte. È Kira Perov, moglie dell’artista e direttore esecutivo del Bill Viola Studio, a spiegare la specificità, rispetto alle precedenti, di questa nuova mostra, in cui figurano, tra le altre, opere come «The Veiling» (1995), «The Raft» (2004), «Ocean Without a Shore» (2007), la serie «Martyrs» (2014) e altre raramente viste in Italia come «The Quintet of the Silent» (2000).
«In ogni edificio storico ci si trova di fronte a un’atmosfera preesistente, generata dai rivestimenti delle pareti, dai dipinti, dagli affreschi, dallo stile dei soffitti e delle decorazioni, afferma Perov. E il nostro obiettivo è esporre opere che dialoghino con il passato, per portare queste connessioni nel presente. Nella prima sala della mostra, per esempio, si trovano due lampadari che non si possono spostare, che hanno però generato un’ambientazione perfetta per i lavori eleganti della serie “The Passions”, come “The Quintet of the Silent” del 2000 e “Catherine’s Room” del 2001, così come per “The Greeting” del 1995. In una sala di maggiori dimensioni abbiamo posto alcuni lavori dalle serie di Tristano, mentre abbiamo utilizzato stanze più piccole per opere più intime, come le serie dei Martiri. Ovunque ci sono elementi architettonici e dettagli del passato che arricchiscono la percezione dei lavori video, con i quali abbiamo creato per il visitatore un viaggio “in profondità”, che rivela i grandi temi cui Bill si dedica da sempre».
Leggi il «Primattori» di Franco Fanelli.