«Utopia Distopia: il mito del progresso partendo dal Sud» (fino al 21 febbraio), prima esposizione curata da Kathryn Weir nel Museo Madre, di cui è direttrice artistica, è una riflessione attualissima compiuta attraverso i lavori di 55 artisti (di cui 33 campani) sulle speranze utopistiche del modernismo, sostenute dal mito del progresso, e le esperienze distopiche dell’epoca attuale che confermano il sostanziale avvenuto deflagrare di quella ideologia.
Sei le sezioni in cui sono organizzati i lavori: lo Spazio urbano è indagato con i lavori, tra gli altri, di Giulio Delvè, Danilo Correale, Cherubino Gambardella, Domenico Antonio Mancini, Franco Silvestro, Raffaela Maraniello; lo Spazio Rurale con quelli di Bianco-Valente, Antonio Biasiucci e Bruna Esposito, Michele Iodice, Giulio Delvè, Maria Lai, Eugenio Tibaldi, Mimmo Jodice, Eugenio Giliberti, Salvatore Emblema.
Esemplificano lo Spazio periferico le pratiche utopiche di Riccardo Dalisi a Rione Traiano e l’impegno etico di Felice Pignataro a Secondigliano e a Scampia; mentre lo Spazio industriale è indagato attraverso le fotografie di Mimmo Jodice e Raffaela Mariniello sull’ex stabilimento siderurgico di Bagnoli e i collage del ghanese Ibrahim Mahama.
Lo Spazio extraterritoriale, segnato dal vuoto etico, sociale e politico, è restituito dalle opere di Margherita Moscardini, Francesco Arena, Monica Biancardi, Patty Chang e David Kelley, Kiluanji Kia Henda. Infine lo Spazio del corpo è una riflessione sulla discriminazione e sul mancato riconoscimento sociale che avviene attraverso le opere, tra le altre, del collettivo Gruppo XX, Tomaso Binga, Melita Rotondo, Betty Bee, Rosy Rox, Roxy In The Box, Maria Adele Del Vecchio e Romina De Novellis.