Foto dell'allestimento della mostra su Alessandro Roma al Mef. Foto Bebbe Giardino

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Foto dell'allestimento della mostra su Alessandro Roma al Mef. Foto Bebbe Giardino

Il senso plastico di Roma

I paesaggi intimi dell’artista milanese negli ambienti del Mef esprimono la loro forma più consona, al di là dei limiti e dei supporti

Alessandro Roma (Milano, 1977) si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano nel 2001 e ha intrapreso una ricerca incentrata sulla pittura ma che, negli anni, ha sconfinato in altri linguaggi. Alle sue tipiche composizioni semi astratte e surreali, complice l’utilizzo della tecnica del collage, ha affiancato la fusione, la stampa su tessuto e la ceramica.

Non pare un caso l’evoluzione del suo stile verso una direzione plastica dal momento che la matericità era già una caratteristica intrinseca ai suoi quadri ed esempi della storia artistica più recente, uno su tutti Lucio Fontana, hanno raccontato quanto possa essere insistente l’esigenza di traslare l’opera al di fuori della sua «limitante» bidimensionalità perché continui ad esistere nello spazio. Il segno dell’artista ha acquisito così molteplici declinazioni che convivono tra le pareti e gli ambienti per manifestare appieno nuovi paesaggi interiori.

A distanza di un anno dalla sua ultima personale da Quartz Studio, Alessandro Roma torna a Torino per un nuovo progetto espositivo, questa volta museale, al MEF Museo Ettore Fico: «Se si cerca l’infinito, basta chiudere gli occhi» a cura di Andrea Busto. Dal 28 settembre, sino al 17 dicembre, una trentina di opere di media dimensione, tempera e acrilico su carta, e sedici sculture, di varie grandezze, in ceramica smaltata la cui forma ricorda quelli dei vasi, scandiscono un variegato percorso.

La ceramica, materiale con cui sempre più si confronta l’autore e che è parte della nostra cultura e della nostra storia, ha goduto di grande popolarità nei secoli e il suo fascino deriva da una materia «bruta» come la terra che muta con il fuoco acquistando i connotati più diversi. Con essa, che ha «rotto le catene imposte dalla nozione di bellezza universale», hanno sperimentato i creativi dell’Art Nouveau, i fauves e di seguito Picasso, Miró, Gaudí, sino ad un artista come Grayson Perry, vincitore del Turner Price nel 2003, solo per citare nomi altisonanti.
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I «vasi» in ceramica di Roma ingannano lo spettatore di primo acchito nel sembrare oggetti d’uso dalla forma sofisticata ma ben presto, ad un’osservazione più attenta, rivelano la loro vita autonoma e «ribelle». Organiche, ricche di ramificazioni e nervature, queste plastiche complesse dall’estetica fortemente vitalistica, tra caos e armonia, emulano la varietà della natura.

Gli ambienti del museo accolgono le opere del milanese in un allestimento che raggiunge il suo equilibrio nel pieno dialogo tra queste sculture, i disegni e le composizioni pittoriche che, al pari dei vasi, manifestano intricati meccanismi visivi sulle due dimensioni.

Come osserva Busto in catalogo, «dalle grandi installazioni ai minimi oggetti o disegni, tutta l’opera di Alessandro Roma tende a dare equilibrio a quel suo mondo mentale che è anarchico e vitalistico, fantastico e musicale: non rinuncia alla sua emotività estetica, anzi la esprime formalmente in tutto il caos appagante e godibile della sua produzione».

«The shade of the moon» di Alessandro Roma. Foto Beppe Giardino

Monica Trigona, 26 settembre 2023 | © Riproduzione riservata

Il senso plastico di Roma | Monica Trigona

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