Mentre la canzone «Compagni di scuola» di Antonello Venditti si chiede se «Dante era un uomo libero, un fallito o un servo di partito», gli studi sul Sommo Poeta morto 700 anni fa proseguono. Il Mar - Museo d’Arte della città di Ravenna nella Chiesa di San Romualdo lo fa con la mostra «Dante. Gli occhi e la mente. Le Arti al tempo dell’esilio» e il catalogo (Silvana Editoriale), un percorso visitabile fino al 4 luglio che illustra le tappe dell’esilio dal 1302 attraverso gli artisti del suo tempo.
Il curatore Massimo Medica ha selezionato da musei nazionali e internazionali importanti opere realizzate, tra gli altri, da Giotto e Cimabue, Nicola Pisano, Arnolfo di Cambio, Giovanni e Giuliano da Rimini. L’appuntamento del Comune di Ravenna, tra i principali delle celebrazioni dantesche, inizia raccontando la Firenze tra fine Duecento e inizio Trecento con due figure capitali come Cimabue e Giotto, citati da Dante nel canto XI del Purgatorio: «Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido».
Del primo sono esposte la Madonna di Castelfiorentino e due miniature ritagliate con i santi Abbondio e Crisanto collocate sul tabernacolo-reliquario della Pinacoteca Civica di Gubbio; del secondo la Madonna di San Giorgio alla Costa e il più tardo polittico di Badia degli Uffizi. Papa Bonifacio VIII, autore del primo Giubileo del 1300, odiato da Dante e perciò collocato nell’Inferno, è evocato dal calco del suo ritratto di Arnolfo di Cambio dal Museo dell’Opera del Duomo di Firenze e da altre opere del periodo romano, tra cui due frammenti di affresco con i santi Pietro e Paolo provenienti dal distrutto ciclo pittorico del portico di San Pietro (Città del Vaticano, Fabbrica di San Pietro in Vaticano).
Dopo Roma, visitata nel 1300-01, Dante inizia un lungo viaggio tra le città d’Italia, la Forlì dei signori Ordelaffi, Verona, dove si pose sotto la protezione degli Scaligeri (nel 1303-04 e nel 1313-18), periodi evocati in mostra con tessuti, oreficerie, tavole dipinte e sculture del Maestro di Sant’Anastasia. Poi Padova, dove Giotto dipinge la Cappella degli Scrovegni, chissà se il Poeta la vide, un periodo artistico qui evidenziato con l’Offiziolo (1305-09) appartenuto all’amico di Dante, Francesco da Barberino. Poi Bologna (1304-06), importante per la sua Università che forse Dante frequentò nel 1286-87.
In mostra figurano manoscritti miniati della scuola bolognese del tardo Duecento e del primo Trecento, alcuni della Biblioteca Apostolica Vaticana. Dopo i soggiorni nella Marca Trevigiana e nella Lunigiana dei Malaspina, Dante si trasferì nel Casentino, poi a Lucca, dove vide le opere di Nicola Pisano eseguiteper la Cattedrale (è esposto il calco della lunetta con la Deposizione dalla Croce di Pisa, dal Museo Nazionale di San Matteo).
Nel 1310 ritornò a Forlì, dove apprese dell’arrivo in Italia del nuovo imperatore Arrigo VII, sul quale nutriva speranze. Il regnante morì però tre anni dopo, il funerale si svolse nel Duomo di Pisa, non si sa se Alighieri vi partecipò, ma in mostra non mancano sculture di Nicola e di Giovanni Pisano collegate a questi fatti: la scultura della Giustizia dalla Galleria Nazionale della Liguria di Palazzo Spinola, parte del monumento funebre della moglie di Arrigo, Margherita di Brabante.
E poi c’è Arnolfo di Cambio. Intorno al 1319 Dante arriva a Ravenna, dove fu sepolto al seguito della morte avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, di ritorno da Venezia dove si presume contrasse la malaria. A Ravenna lavoravano i pittori Giovanni e Giuliano da Rimini, di cui figura il grande polittico della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, seguiti successivamente da Pietro da Rimini. A chiudere la mostra, infine, una Madonna in trono col Bambino scolpita proveniente dal Louvre, legata forse alla tomba dantesca nelal Basilica di San Francesco.