Marinella Senatore. Foto di Laura Sciacovelli

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Marinella Senatore. Foto di Laura Sciacovelli

Le parole illuminanti di Marinella Senatore

L’artista italiana porta le luminarie natalizie a Palazzo Strozzi e non rinuncia alle sue performance collettive

Dal 2006 Marinella Senatore (Cava de’ Tirreni, 1977) coinvolge milioni di persone in progetti ed esperienze creative condivise, attivando «cortocircuiti energetici» che superano la distanza fisica, tema tristemente attuale. Molti i progetti in corso. Dal 3 dicembre al 7 febbraio 2021 a Palazzo Strozzi di Firenze presenta «We Rise by Lifting Others» (Ci eleviamo sollevando gli altri), a cura di Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi: una grande installazione per il cortile di oltre dieci metri di altezza, costituita da centinaia di luci led, ispirata alle luminarie della tradizione popolare dell’Italia meridionale, e un programma di workshop partecipativi.

L’Istituto Italiano di Cultura di Madrid fino al 26 febbraio 2021 ospita la mostra «Un corpo unico / Un cuerpo único», a cura di Ilaria Bernardi, mentre alla Fondazione Nicola Del Roscio di Roma prosegue fino al 16 gennaio la collettiva, a cura di Pier Paolo Pancotto, che affianca a Marinella Senatore il collettivo Claire Fontaine, fondato nel 2004, e la pittrice Pasquarosa (1896-1973).

Marinella Senatore, stiamo vivendo un periodo che obbliga a riconsiderare le idee di comunità, vicinanza e relazione, temi caratterizzanti la sua espressione artistica. Come incide questo sul suo lavoro?

La partecipazione non è soltanto una pratica, ma anche il focus della mia ricerca condotta negli anni. Le interazioni tra gli esseri umani, la vicinanza, il sentirsi parte di una collettività, sono sempre stati espressi dai partecipanti ai miei progetti e in questo momento sono ancora più evidenti. La mia pratica si interroga, si trasforma e si modella anche sulla base del fatto che le persone reagiscono più consapevolmente a questi temi rispetto al passato, proprio data la loro improvvisa mancanza.

Il presente può quindi rappresentare un’opportunità per dare vita a nuovi progetti e a nuove modalità di espressione?

Ne sono assolutamente convinta. Fin dagli inizi del primo lockdown mi sono chiesta se questo momento potesse essere, nella sua tragicità, un’occasione per ripensare a certe modalità di stare insieme, a quello di cui si ha più bisogno.

Il progetto ideato per Palazzo Strozzi, «We Rise by Lifting Others», è in presenza e in parte online. È diventata una necessità unire la dimensione fisica e quella digitale?

Ho sempre utilizzato le tecnologie, cercando di prenderne il meglio e sfruttando tutte le possibilità che offrono, quindi non sono nuova al lavoro online. Il percorso a Palazzo Strozzi inizia dalla grande installazione concepita per il cortile e ispirata alle luminarie della tradizione popolare tipiche dell’Italia meridionale. Questo monumento composto da luci e parole attiva il lavoro che verrà poi svolto durante i workshop sul movimento, inteso come espressione dell’individuo all’interno di una costruzione corale creativa. Inoltre, una serie di contenuti ideati per l’online, quindi non surrogati di un’esperienza in presenza, verranno condivisi attraverso i canali digitali di Palazzo Strozzi con un’audience molto più ampia. La partecipazione si può declinare in mille sfaccettature e non implica necessariamente la presenza fisica.

Qual è il ruolo delle parole nel suo lavoro? Può spiegarci il filo narrativo delle tre frasi scelte per questo progetto?

La parola è molto importante e la utilizzo sia nei lavori bidimensionali sia in quelli di azione in strada. È uno strumento che permette di operare delle possibilità di scambio, oltre a innescare dei meccanismi. «We Rise by Lifting Others» l’ho letta sulla t-shirt di un manifestante negli Stati Uniti, «The Word Community Feels Good» (la parola «Community» fa sentire bene) è invece una citazione del filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, mentre «Breathe, You Are Enough» è mia. Sono tutte frasi volte all’emancipazione dell’individuo, questa è la cosa più importante: nella mia pratica e per come vedo io il mondo, è sempre una dimensione collettiva quella che fa emergere il singolo. Durante i workshop, questi e altri testi verranno utilizzati per generare dei contenuti non verbali, fatti di gesti e movimenti, ma estremamente narrativi.

La luminaria «rivisitata» ricorre spesso nel suo lavoro. Quale significato ha per lei l’elemento luce?

La luminaria è una sorta di catalizzatore, un attivatore di energie, un’architettura effimera che crea spazi temporanei di socializzazione. Quando ho studiato e lavorato nel cinema il mio focus era proprio l’illuminazione, l’ho sempre trovata molto poetica. Come la parola, la luce può rivelarsi strumento di resistenza e anche di rivoluzione. Alla fine, il mio lavoro si potrebbe veramente definire come una grande esplosione energetica.

Come procede l’attività di «The School of Narrative Dance», il progetto itinerante da lei iniziato nel 2012, e al centro di una sala della mostra di Madrid? 
«The School of Narrative Dance» (la scuola nomade e gratuita che costituisce il progetto più noto e continuativo di Marinella Senatore, essendosi sviluppato sino ad oggi in 29 città del mondo con la partecipazione di oltre sei milioni di persone, Ndr) sta lavorando ad Amsterdam, con tutte le misure di sicurezza del caso e avrà una restituzione filmica. I coreografi e i partecipanti si adattano alla realtà dei tempi, dunque le performance avvengono in piccoli episodi, con partecipanti che danzano a distanza di dieci metri l’uno dall’altro. L’assenza di contatto fisico, le modifiche nello stare insieme narrano questi tempi. E il nostro lavoro non finisce a causa delle limitazioni, che invece ne diventano parte integrante.

Marinella Senatore. Foto di Laura Sciacovelli

Il rendering dell’installazione «We Rise by Lifting Others» (2020) per il cortile di Palazzo Strozzi a Firenze. Rendering by Prospettica. Cortesia dell’artista e Palazzo Strozzi

«Protest forms: memory and celebration» (2017), di Marinella Senatore. Cortesia dell’artista e Queens Museum, NYC

Carlotta de Volpi, 03 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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