«L’esposizione vuole indagare l’opera dell’artista (1934-98) forse più famoso ed emblematico della pittura italiana dagli anni Sessanta in poi. Scaturisce dalle riflessioni emerse a seguito della mostra del 2021 alle Gallerie d’Italia a Milano sulla pittura negli anni Ottanta, che aveva evidenziato l’esigenza di rivisitare la produzione di Schifano, spostando l’attenzione dal personaggio rockstar, dal Warhol italiano, per fare emergere uno Schifano inedito, che oggi si svela come il più attuale dei pionieri dell’arte moderna e contemporanea in Italia. Quale città migliore di Napoli per proporre questa indagine su un artista così vitale, inarrestabile, inventivo?», dichiara Luca Massimo Barbero, illustrando le ragioni che sottendono la mostra «Mario Schifano: il nuovo immaginario. 1960-1990», da lui curata alle Gallerie d’Italia Napoli dal 2 giugno al 29 ottobre.
Realizzata in collaborazione con l’Archivio Mario Schifano, l’esposizione intende ripercorrere, attraverso oltre 50 lavori provenienti da istituzioni pubbliche e private nazionali e internazionali, le fasi di una ricerca sempre attuale e anticipatoria, capace di intercettare le istanze della contemporaneità e di svilupparle andando ben oltre la più celebre produzione, a cui l’artista deve la sua notorietà internazionale.
«Il percorso parte dal particolare dell’archeologia, quindi dai monocromi degli anni Sessanta, strettamente connessi al suo lavoro di restauratore al Museo di Villa Giulia. È straordinario che queste opere dialoghino con le ceramiche attiche e magnogreche della collezione Intesa Sanpaolo presenti proprio alle Gallerie d’Italia di Napoli. Si scoprirà un nuovo Schifano, anticipatore anche nella produzione degli anni Settanta, che fotografa ossessivamente la televisione e che ripercorre la storia dell’arte da de Chirico a Picasso a sé stesso. Il grande salone al piano terra ospita inoltre, come una sorta di teatro, quelli che definisco i teleri contemporanei, grandissimi formati in cui è possibile respirare la grande pittura, fino agli anni Novanta, di questo straordinario artista», aggiunge Barbero.
In mostra, dunque, le opere di Schifano degli anni ’60 e tra queste i rarissimi monocromi, alcuni dei quali provenienti dalla collezione Luigi e Peppino Agrati e poi confluiti in quella del Gruppo Intesa Sanpaolo, esposti per la prima volta insieme («Grande pittura», 1963). Per Schifano il monocromo non è sinonimo di azzeramento, ma è colore e segno che l’artista tratta come spazio pittorico, organizzato in inquadrature. Allusivi anche nei titoli, i monocromi sono quasi contemporanei alle più note pitture iconiche in cui i soggetti diventano la strada, i segnali urbani, le pubblicità, le insegne (Esso, Coca-Cola), nuovi simboli del consumo e della vita moderna.
Tra il 1963 e il 1965 il paesaggio è il tema prevalente della sua produzione («Ultimo autunno», 1964). Si tratta di aperture sul mondo esterno, frammenti sintetici di mondo naturale e di paesaggi metropolitani. Negli anni ’70 l’omaggio ai grandi maestri, già esplicito in «Futurismo rivisitato» (1966), emerge nei «Paesaggi TV», serie di opere in cui Schifano ripensa alla pittura attraverso la macchina fotografica e l’emulsione del colore sulla tela, «catturando» cronaca, arte e pubblicità.
Infine, al piano terra, una sequenza di dipinti di grandi dimensioni («Gaston a cavallo», 1986), realizzati negli ultimi trent’anni di attività, organizza scenograficamente lo spazio del salone centrale del museo, facendo emergere anche nelle più tarde opere monumentali l’appassionata riflessione di Schifano sul cinema, sui media e, più in generale, sulla contemporaneità.