Tutti gli esponenti del Surrealismo, a iniziare dal fondatore André Breton, che ne collezionava gli artefatti, erano sedotti dalle culture allora dette «primitive» e oggi definite «native» o «del Sud globale». In esse trovavano, infatti, il grimaldello per evadere dalla detestata società occidentale, capitalistica e borghese, liberandosi dai suoi diktat sociali e culturali mentre, sul piano individuale, ambivano ad affrancarsi dalle regole della ragione per immergersi nei territori dell’inconscio e del sogno, e attingere così le regioni della surrealtà.
Si annuncia quindi come molto stimolante la mostra «Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans Van Beuningen», prodotta da 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore con il supporto di Fondazione Deloitte e Bper, e curata da Els Hoek e Alessandro Nigro per il Mudec-Museo delle Culture, in cui fino al 30 luglio 180 opere (dipinti, sculture, disegni, documenti) delle celebri collezioni surrealiste del museo di Rotterdam entrano in dialogo con gli artefatti delle raccolte del Mudec, scelti fra quelli dell’Oceania e delle Americhe, prediletti dai surrealisti.
Questa, però, non è che l’ultima sezione di una mostra che tocca tutti i punti più significativi di quel pensiero, tradotti in immagini conturbanti da maestri e comprimari (molti tutt’altro che secondari, come Eileen Agar) e che, dopo alcune opere celebri, si avvia con le radici dadaiste, esibendo documenti e opere di Kurt Schwitters, Tristan Tzara e Francis Picabia, Max Ernst, Man Ray e Marcel Duchamp per addentrarsi poi nei temi psicoanalitici del sogno e dell’inconscio; nel ricorso al caso durante il processo creativo (collage, frottage, flusso di coscienza, allucinazioni indotte); nella sessualità e, infine, nello straniamento, vero caposaldo del Surrealismo.