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Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliBologna. La riscoperta di un capolavoro è la realizzazione di un evento che resterà probabilmente irripetibile. Nell’epico racconto di un «ritorno a casa», nel mistico ritrovarsi di quel gruppo di santi eleganti e solenni, una squadra di campioni spirituali «riconvocata» dopo quasi 300 anni, c’è, infatti, il sapore dell’impresa memorabile.
C’è, insomma, aria di festa, a Bologna, nell’accogliere questa mostra, «La riscoperta di un capolavoro. Il Polittico Griffoni», a Palazzo Fava dal 12 marzo al 28 giugno, l’evento più importante della primavera e momento epocale per gli studi su un’opera fondamentale per comprendere la qualità, erudita e sperimentale, del Quattrocento emiliano.
Il Polittico Griffoni, commissionato alla fine del ’400 dai membri di un’eminente famiglia bolognese, i cui volti sono rivelati nelle effigi di san Floriano e santa Lucia, è il frutto della stretta collaborazione tra due artisti ferraresi, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, che avevano operato alla corte estense. Un’opera ben raccontata dalle fonti storiche prima della dispersione, ora di nuovo esposta poco lontano dalla Basilica di San Petronio e dalla cappella gentilizia da cui fu allontanata nel 1725.
Rimossi dalla cornice tardogotica (perduta), che li univa in un’architettura di aureo splendore, trasformati in singoli quadri da stanza dal prelato Pompeo Aldrovandi, poi separati dal destino e in preda alle correnti del mercato antiquario internazionale, i 16 pannelli superstiti di quella che fu una delle pale d’altare più ammirate del Rinascimento sono infine approdati in 9 diversi musei, tra i quali la National Gallery di Londra, il Louvre di Parigi e i Musei Vaticani.
«L’intreccio di interessi scientifici e relazioni umane che ha permesso di realizzare questa mostra è stato delicato e avvincente, ricorda il curatore Mauro Natale, perché non va dimenticato che dietro questo allestimento c’è un lavoro di oltre due anni di direttori di musei ed esperti, i quali, non senza qualche comprensibile tentennamento, hanno finalmente acconsentito al prestito, riconoscendo il valore dell’iniziativa e considerandola una grande opportunità per la divulgazione, l’analisi e persino per l’auspicabile ritrovamento delle parti ancora mancanti». Anche a questo, in fondo, servono le occasioni espositive, che riaccendono i riflettori su questioni ancora aperte.
«La mancanza di sette piccoli santi dei pilastri non compromette la leggibilità complessiva, spiega Cecilia Cavalca, che ha curato la sezione dedicata all’ipotesi ricostruttiva, anzi, proprio nel riportare la nostra attenzione sulla relazione tra l’insieme e le parti, cioè sulla dialettica che innesca il meccanismo semantico del polittico, l’opera ci restituisce pienamente la sua efficacia espressiva. Il dispositivo della collocazione delle figure, già studiato nei primi decenni del Novecento da storici dell’arte di rilievo, fu intuito quasi perfettamente da Roberto Longhi che, nei suoi studi sull’“Officina Ferrarese”, ne tentò la ricostruzione tramite piccoli modelli di carta, esposti in questa occasione. Oggi, però, sono le nuove tecnologie ad avermi consentito di mettere a punto un’idea convincente, proposta in mostra attraverso una scenografica ricostruzione dell’insieme a grandezza naturale, mentre i singoli pannelli originali sono esposti ad altezza di sguardo, per consentire di apprezzarne i mirabili dettagli, dai panneggi agli sfondi...».
Così, in una mostra volutamente concentrata e filologica, dove a incantare è, come sempre dovrebbe essere, la rara qualità degli originali, l’unica concessione alla spettacolarizzazione è la perfetta copia del Polittico realizzata dalla Factum Foundation di Adam Lowe, che utilizza le più avanzate tecnologie di scansione e riproduzione in 3D delle grandi opere del passato per farle rivivere.
Ma non va dimenticato che, poiché l’idea di riunire e far rivivere la grande opera è stata promossa da Fabio Roversi Monaco, presidente e anima di Genus Bononiae, la mostra si ambienta perfettamente tra gli affreschi dei Carracci a Palazzo Fava, un luogo dove l’incanto della bella pittura rinascimentale a Bologna trova continuità con l’opera dei suoi più tardi eredi.
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