Si qualifica già come epocale la mostra «Vermeer» che per la prima e forse irripetibile volta riunisce al Rijksmuseum di Amsterdam, dal 10 febbraio al 4 giugno, 28 dei soli 35 capolavori, a causa dalla loro preziosità e rarità assai difficili da ottenere in prestito, giunti fino a noi di un artista in passato soprannominato «la Sfinge di Delft» per la scarsità di notizie pervenute. Realizzato in stretta collaborazione con la Mauritshuis dell’Aia, che eccezionalmente presta anche due capolavori come «La ragazza con l’orecchino di perla» (fino al 30 marzo) e la «Veduta di Delft», il progetto espositivo porta la firma di Pieter Roelofs e Gregor J.M. Weber, entrambi curatori al Rijksmuseum.
«Oggi Vermeer (1632-75) è uno dei pittori più amati del mondo, ma fino a metà Ottocento era praticamente sconosciuto, afferma Roelofs. Dei 40 o 50 dipinti che probabilmente realizzò, nel nostro museo disponiamo di quattro, che grazie alla generosità dei colleghi di tutto il mondo abbiamo potuto integrare con opere che giungono per la prima volta ad Amsterdam da istituzioni come la Frick Collection di New York, la National Gallery di Washington e la Gemäldegalerie di Berlino».
La Frick Collection in particolare, la cui sede è attualmente in ristrutturazione, ha prestato per la prima volta tutti e tre i suoi capolavori: «Concerto interrotto», «Soldato con ragazza sorridente», «Fantesca che porge una lettera alla signora». Come spesso avviene, una mostra tanto ambiziosa ha fornito l’occasione per restauri e ricerche. «Negli ultimi anni abbiamo lanciato, in collaborazione con la Mauritshuis e l’Università di Anversa, un vasto progetto scientifico cui hanno partecipato curatori, conservatori e ricercatori, precisa Roelofs. Oggi disponiamo quindi di maggiori informazioni sulla posizione sociale di Vermeer, l’ambiente in cui è vissuto e le relazioni con gli altri artisti e concittadini. Oltre ovviamente che sul suo metodo di lavoro, molto più sperimentale di quanto pensassimo».
L’uso delle avanzate tecnologie di scansione Macro-Xrf e Ris hanno consentito, ad esempio, di rilevare nel dipinto «La lattaia» due oggetti (una brocca e un braciere) eliminati nella stesura definitiva. Analoghi pentimenti appaiono nella «Pesatrice di perle» della National Gallery di Washington, smentendo la convinzione, nonostante l’esito finale introspettivo e contemplativo, di un approccio vermeeriano alla pittura lento e riflessivo.
«Uno dei motivi di fascino di Vermeer è il suo essere una specie di regista ante litteram, i cui dipinti assomigliano a fotogrammi, afferma ancora Roelofs. L’uso della luce diurna, che piove sempre da sinistra in alto, contribuisce a evidenziare ogni singola azione come se ci trovassimo nel bel mezzo, consapevoli dell’esistenza di un prima e di un dopo. Ciò accade, ad esempio, in opere della nostra collezione come la “Ragazza che legge una lettera”, in cui diventiamo testimoni di una scena privata, e soprattutto l’eccezionale “Lettera d’amore”, in cui siamo addirittura invitati a entrare nello spazio fisico del dipinto. Molto inusuale è poi la celebre “Stradina di Delft”, in cui la stessa inconfondibile intimità che Vermeer restituiva agli interni si sposta alla strada in cui viveva sua zia, nella quiete silenziosa di una splendida giornata estiva del 1660 ca».
Un interessante approfondimento biografico è infine rappresentato dal recentissimo volume, firmato da Gregor J.M. Weber e pubblicato dal Rijksmuseum, Johannes Vermeer. Faith, Light, and Reflection, che evidenzia il fondamentale rapporto intessuto dall’artista con l’Ordine dei Gesuiti, ai quali molto probabilmente dovette la conoscenza della camera oscura e la conversione alla fede cattolica.