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Fabio Mauri, «Luna», 1968

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Fabio Mauri, «Luna», 1968

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Il Centro Pecci ti porta sulla Luna

Nel museo di Prato l’allunaggio che Fabio Mauri aveva pre-visto e pre-mostrato nel 1968: un’installazione che proietta, fisicamente e mentalmente, il visitatore sulla superficie del nostro satellite

Davide Landoni

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Le opere d'arte parietali impresse da 17mila anni nelle grotte di Lascaux, nel sud-ovest della Francia, rappresentano sotto diversi punti di vista una testimonianza fondamentale per la storia dell'umanità. Tra le considerazioni che ci lasciano in dote, questa: prima di fare una cosa, l'uomo ha bisogno di immaginarla. Scene di caccia, perlopiù, le immagini raccontano della necessità più pratica che artistica di lasciare traccia di quel che si è vissuto, o ancora di più di quello che non si è ancora sperimentato. Quante volte ci figuriamo, nella nostra mente, lo svolgersi di un'esperienza nuova? Con quanta intensità proviamo ad anticipare quel che sarà, ipotizzando evoluzioni e imprevisti? Quanto fascino e paura suscita la vita in noi, che pur di non scontrarci con essa buttiamo in là la nostra immaginazione, chiamata ad anestetizzare i timori cercando di prevedere l'inconoscibile? Molto, a quanto pare. Uno scenario a cui già gli uomini di Lascaux avevano trovato modo di adattarsi, liberando attraverso il disegno i fantasmi e i desideri che ci affollano l'anima.

Pre-vedere il futuro attraverso un'immagine per porsi nelle condizioni di intuire le azioni da compiere e quelle da evitare. Una simulazione di ciò che avverrà. E se la realtà alla fine prenderà le distanze da quel che avevamo pensato, be', poco male, vorrà dire che improvviseremo, e che la prossima volta spingeremo la fantasia ancora più in là, in una sfida col mondo che può protrarsi anche oltre ad esso. Un punto a cui forse erano già arrivati gli stessi uomini di Lascaux. Nel 2018 i ricercatori delle università di Edimburgo e Kent hanno rintracciato, nei disegni di bovini, cavalli e cervi della Sala dei tori di Lascaux, la rappresentazione delle costellazioni. Un'ipotesi rafforzata da altri disegni, che rappresenterebbero esplicitamente lo zodiaco. E se non è detto che esse indichino una conoscenza consapevole delle dinamiche celesti da parte loro, quantomeno suggeriscono l'idea che, anche in modo inconscio, già l'uomo primitivo si avvaleva dell'arte per unire ciò che conosceva e ciò che gli era ignoto, ciò che aveva visto e ciò che poteva solo intravedere, ciò che aveva vissuto da quello che, si augurava, in futuro avrebbe forse potuto sperimentare.

Manteniamo allora lo sguardo rivolto al cielo, ma muoviamoci verso Prato, dove oggi c'è un museo che assomiglia a una navicella spaziale, disco verde che suggerisce mondi ignoti e al suo interno ospita la luna. È il Centro Pecci, spazio di ricerca contemporanea atterrato lontano dalle grandi città, insidiatosi alla periferia dell'impero dell'arte ma abbastanza forte da far sentire a tutti la sua voce. Solo nel momento in cui scriviamo, ben tre mostre temporanee sono esposte al suo interno - Peter Hujar, Margherita Manzelli, Louis Fratino - al fianco della collezione permanente. Ed è in questa sezione, a una delle continue e perpetue svolte che seguono la forma circolare del Museo, che ci imbattiamo nella Luna. Il satellite è qui preso in prestito dall'omonima opera di Fabio Mauri, presentata per la prima nel 1968 alla Galleria La Tartaruga di Roma, all'interno di un ciclo di installazioni intitolato Teatro delle Mostre. Per tre settimane, nel maggio di quell'anno, gli artisti invitati dal gallerista Plinio de Martiis si susseguirono in una serie di operazioni volte a trasformare lo spazio espositivo in un teatro, all'interno del quale il pubblico potesse agire.

 

Ora, seguendo un'orbita che l’ha vista riproposta al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1970 e alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma nel 1994 nella retrospettiva di Mauri, la Luna dal 2008 aleggia sulla città Toscana, nella visionaria forma originale con cui era nata. Uno spazio chiuso, oscuro, a cui accedere (dopo essersi tolti le scarpe) da due boccaporti ovoidali, il cui fondo è cosparso di palline di polistirolo, dove i visitatori affondano, giocano, immaginano di essere altrove, in un luogo al tempo solo immaginato (e che per molti di noi, a dirla tutta, rimane ancora tale). L'allunaggio, il primo allunaggio, si sarebbe verificato solo il 20 luglio dell’anno successivo. Come a Lascaux, Mauri pre-vede, pre-mostra ciò che ancora non è accaduto. Senza finalità e intenzioni scientifiche, con quest'opera l'artista mette in scena una realtà tutt'oggi impalpabile per la maggior parte dei terrestri. Interessanti, poi, le due direttive che utilizza.

Una, dopotutto, abituale: la luce bianchissima che penetra dalle aperture ricorda la luce lunare, la stessa che diluisce il buio delle nostre notti, che ispira le nostre poesie, che ci riporta ai nostri amati, uguale in ogni luogo della terra, col suo mistero lontano e irraggiungibile, come tutti i desideri che non ci abbandonano per quanto cerchiamo di allontanarli. Insieme naturalmente al buio che veste la stanza, oscuro come l'infinito del cosmo. 

E dopo c'è un secondo binario, del tutto ipotetico e suggestivo, che scorre sul polistirolo che funge da superficie da appoggio. Con la sua consistenza imprevedibile, Mauri ha voluto forse evocare la percezione fisica di una gravità alterata, insieme alle reazioni imprevedibili che l’uomo avrebbe avuto muovendosi sulla superficie del satellite. Oppure, rimanendo attaccato ai vestiti, ma anche alle pareti della stanza, il materiale è forse più un’allusione alla polvere lunare, la quale ricopre il corpo celeste ma che poeticamente immaginiamo disperdersi nel cielo durante le notti in cui l’aria è densa di magia.

Oggi, a oltre cinquant’anni dall’allunaggio, cinquant’anni in cui documentari e film ci hanno mostrato realmente come è fatta la Luna, l’opera di Mauri permane allora più di ogni altra cosa come spazio mentale, luogo dove sospendere la propria identità e muovere l’anima verso un altrove, dove rivolgersi ai propri desideri, affidarli alla propria immaginazione e lasciare che fluiscano dove la realtà non può arrivare. Come stelle disperse nel cosmo i nostri sogni galleggiano nell’infinito dello spirito, lontani e inafferrabili, eppure incandescenti e luminosi, impossibili da ignorare. Sulla Luna di Mauri, con la luce che sfila tra le palpebre socchiuse, i piedi che affondano nella polvere di stelle, pare quasi di poterli stringere, smettere di pensarli e, finalmente, abbracciarli.


 

Interno del Centro Pecci a Prato. Foto Guerra

Davide Landoni, 22 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

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