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Sandro Chia, «Catching the stars», 2011, olio su tela, 165 x 135 cm

Foto: Matteo Monti. Courtesy Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. Bologna, Venezia, Paris

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Sandro Chia, «Catching the stars», 2011, olio su tela, 165 x 135 cm

Foto: Matteo Monti. Courtesy Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. Bologna, Venezia, Paris

A Bologna il doppio volto dell’arte secondo Sandro Chia

Il maestro della Transavanguardia porta a Bologna un intenso dialogo tra pittura e ceramica. Nella mostra «Attraverso il fuoco, dentro il segno» le opere fondono materiali e significati, trasformando ogni pezzo in un racconto visivo vibrante e profondo

Nicoletta Biglietti

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La ceramica e la pittura: due mondi apparentemente distanti che instaurano, nella Galleria d’Arte Maggiore g.a.m. di Bologna un dialogo serrato, ma affascinante, grazie a uno dei protagonisti assoluti della Transavanguardia italiana, Sandro Chia (Firenze, 20 aprile 1946). Tra grandi tele, titoli enigmatici e ceramiche quasi inedite, la mostra, dal titolo «Sandro Chia. Attraverso il fuoco, dentro il segno»  e visitabile dal 29 maggio al 25 luglio 2025, si pone come una celebrazione e indagine della poetica del Maestro. L'artista, infatti, mette in scena una contaminazione sapiente e coraggiosa tra la ceramica, solida e terrosa, e la pittura ad olio, virante e fluida, in una dialettica compositiva in grado di far dialogare arti così distanti per natura, tecnica e «statuto simbolico»-

Perché nel loro apparente contrasto, questi linguaggi si completano a vicenda: la pittura esalta l’espressività del gesto, la ceramica restituisce il peso fisico del segno, in un avvicendarsi si scontri-incontri che sembrano imporre pause, deviazioni e rilanci visivi. E Chia dimostra così una versatilità tecnica rara, unita a una straordinaria padronanza dei materiali, capace di trasformare ogni supporto in un’estensione del suo mondo interiore. 
Come afferma Franco Bertoni, nel catalogo della mostra «Sandro Chia. Ceramica vs Disegno 1:0» tenutasi al MIC - Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza nel 2011, infatti «è lo stato di grazia che Chia ricerca poiché da «attoniti e perplessi, si vedono più cose». A complicare il tutto, i titoli delle opere che, anziché chiarire, «devono trasmettere lo stesso stato di stordimento che l’artista prova quando lavora».
Il risultato è così un’esposizione che non si limita a mostrare opere, ma mette in scena un confronto vitale tra linguaggi, che permette di comprendere la posizione di Chia all’interno della Transavanguardia italiana, movimento artistico esploso nei primi anni Ottanta e teorizzato da Achille Bonito Oliva. In un contesto storico dominato dall’astrazione concettuale e dal minimalismo, inftati, la Transavanguardia rappresentò una rottura e, allo stesso tempo, un ritorno. Il ritorno alla pittura, alla figurazione, alla narrazione visiva, e, al contempo, un invito a riscoprire il piacere dello sguardo, a riconciliarsi con l’arte attraverso forme, corpi, colori e riferimenti culturali stratificati.
 

Sandro Chia, «Cornice», 2011, maiolica policroma e tecnica mista su carta, 100 x 78 x 9 cm. Foto Matteo Monti. Courtesy Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. Bologna, Venezia, Paris.

Chia abbracciò questo spirito in modo originale e con una spiccata apertura alla contaminazione tra linguaggi differenti, in grado di mescolare tradizione e sperimentazione, «alto» e «basso» , e materia e pensiero. Le opere selezionate per la mostra, lo raccontano con forza, perché Chia non sceglie un linguaggio, li abita tutti, passando con naturalezza da un supporto all’altro, senza mai sacrificare l’intensità visiva e concettuale delle sue immagini.
Un ruolo centrale in questo dialogo tra mondi lo giocano le opere in ceramica, molte delle quali realizzate presso la storica Bottega Gatti di Faenza, vera e propria fucina artistica per generazioni di maestri. Tra le più emblematiche, le Cornici, che più di ogni altra serie sintetizzano l’unione (e il conflitto) tra la leggerezza del disegno e la forza scultorea della ceramica. L’opera, qui, si sdoppia e si unisce: non è «solo» la cornice in ceramica a essere protagonista, ma anche il disegno su carta che l’artista incastona al suo interno. Due tecniche, due materiali, due mondi, apparentemente in contrasto, si fronteggiano e si fondono.
«Una combinazione inquietante, esplosiva» la definisce lo stesso Chia nell’intervista pubblicata nel catalogo della mostra di Faenza, raccolta da Franco Bertoni, ed edito Umberto Allemandi & C. E prosegue con una riflessione densa di significato: «La ceramica resiste al fuoco, è virtualmente indistruttibile. Il disegno è carta, teme perfino la luce, nell'acqua si spappola, il fuoco lo incenerisce. Data la sua fragilità, il disegno deve essersi guadagnato la sua eccelsa reputazione con altri mezzi […]».

Questa dialettica tra resistenza e fragilità ritorna in altre serie esposte, come quella dei Mappamondi: basi solide in bronzo, materiale eterno e classico, che sostengono emisferi in ceramica in bilico tra forma e deformazione. Un gesto poetico che cristallizza il contrasto tra ciò che dura e ciò che si dissolve, tra la pesantezza del tempo e la leggerezza dell’immaginario. Nello spazio della galleria, accanto a queste opere dialoganti, prendono posto anche teste di gorilla e Babbi addolorati, in un affresco visivo che attinge, in egual misura, dalla cultura alta e da quella popolare. Chia non teme di sovrapporre registri diversi, di mescolare simboli e segni in una stratificazione semantica che sfida ogni tentativo di classificazione univoca. Ogni pezzo è un rebus aperto, una narrazione visiva che si alimenta di ambiguità, ironia e pathos. Anche i titoli delle opere partecipano a questo gioco di specchi. Alcuni descrivono, altri confondono, molti sospendono il senso, lasciando allo spettatore l’onere, e l’onore, di una seconda e più profonda lettura. «Il titolo o il testo che accompagna il quadro ha la funzione di suggerire uno stato d'animo, di creare una sospensione, un dubbio» . C’è, in fondo, un invito sottile ma potente rivolto a chi guarda: non fermarsi alla superficie, entrare nell’opera, accettare la sfida del significato. Perché nulla, nel mondo di Chia, è «semplice» rappresentazione: tutto è tensione, cortocircuito, racconto incompleto. È l’arte che interroga, che costruisce ponti tra mondi lontani, come la ceramica e la pittura, e che riesce, nel suo linguaggio visivo, a restituire la complessità e la bellezza del pensiero contemporaneo.
 

Nicoletta Biglietti, 28 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

A Bologna il doppio volto dell’arte secondo Sandro Chia | Nicoletta Biglietti

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