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Manuela De Leonardis
Leggi i suoi articoliBroccoli, zucchine, patate e pomodori si coltivano nei «giardini della comunità», ma non mancano fiori e palme da dattero in questi spazi condivisi che un tempo erano il campo da basket o semplicemente un angolo del cortile della Qatar Preparatory School (Qps). Costruita nel 1962, questa scuola pubblica secondaria è oggi (sotto l’egida di Qatar Museums l’istituzione qatarina per l’arte, la cultura e l’istruzione) un vibrante hub creativo di Doha. C’è da considerare che il complesso di orti da gestire collettivamente, sia all’aperto sia nelle serre costruite per l’occasione, è qualcosa di nuovo per la cittadinanza locale, curiosa e sollecita nel prendersi cura del patrimonio comune in cui la condivisione delle esperienze, a tutte le età e anche attraverso le pratiche sostenibili, riveste un aspetto significativo all’interno di questo modello esemplare di socializzazione. L’esperimento nasce all’interno della mostra «Countryside: A Place to Live, Not to Leave» (fino al 29 aprile 2026), curata da Rem Koolhaas e Samir Bantal di OMA/AMO (lo studio che ha firmato la visionaria architettura della Qatar National Library) e sottolinea, anche in questo specifico contesto, il ruolo fondamentale dell’arte contemporanea nel processo di sensibilizzazione verso l’ambiente e le politiche economico-sociali. Riunendo insieme Qatar Museums, Qffd (Fondo per lo Sviluppo del Qatar), Ministero per l’Ambiente e il Cambiamento Climatico e altre istituzioni con sede in Qatar, la mostra si sviluppa nei due spazi della Qatar Preparatory School e della galleria del National Museum of Qatar a Doha riprendendo in parte quella realizzata da AMO/OMA (il titolo era «Countryside, The Future») al Guggenheim Museum di New York nel 2020-21.
«È nella campagna che avvengono i cambiamenti radicali», afferma Rem Koolhaas, focalizzando la lunga e complessa ricerca su cui si è incentrato il progetto espositivo sul 98% della superficie terrestre che non è occupata dai centri abitati, tra piccoli borghi e megalopoli. Banner con testi e immagini, fotografie, video e film (inclusa «Hafta», l’opera video in sette parti dell’artista tagika-kazaka Nazira Karimi presentata anche alla Biennale Arte di Venezia 2024, e il corto «Mirtemir is Alright», diretto da Sasha Kulak e Michael Borodin), mappe/diagrammi sul piano di adattamento ai cambiamenti climatici, sul sistema globale del cibo (dalla produzione alla sicurezza), sui costi e le conseguenze legate all’uso, allo spreco e alla perdita di acqua, sul colonialismo, sull’ideologia politica, sul lavoro delle donne, sul «caso» della Cina, sul contrasto «nostalgia e modernità», sulle migrazioni stagionali… Non mancano una serie di oggetti, tra cui un bellissimo visore di legno per stereoscopie munito di lente d’ingrandimento (prodotto in Francia nel XIX secolo e proveniente collezioni di Qatar Museums), che veicolano trasversalmente i messaggi associati ai diversi aspetti di questo paesaggio rurale reimmaginato come terreno di attivazione in una prospettiva di vita futura. Insomma, una campagna come nuova Arcadia, un luogo in cui vivere non da abbandonare. Certamente uno spazio in controtendenza rispetto ai ritmi accelerati delle metropoli contemporanee, in cui viene restituito valore al concetto di «otium», che nella Roma antica voleva dire tempo libero, pausa, riposo. Un po’ come nel Pranayama, la pratica di respirazione dello yoga che implica il controllo dell’energia vitale attraverso il respiro consapevole. Utilizzando i diversi dispositivi la mostra pone l’attenzione, in particolare, sulla fascia geografica specifica che unisce la Cina all’Africa, attraverso la Mongolia, l’Asia Centrale e il Medio Oriente: un’area vastissima e densamente popolata che, tuttavia, essendo priva di grandi nuclei urbani, offre una potenziale alternativa alla vita urbana. Tra biodiversità e ingegneria algoritmica, il percorso espositivo si conclude con la sezione «Pixel farming» (il termine indica il metodo di agricoltura rigenerativa e di precisione che utilizza la tecnologia digitale per gestire piccole unità di terreno coltivate con colture specifiche), mostrando come anche la robotica e l’Intelligenza Artificiale possono essere validi alleati dell’essere umano nella produzione di cibo sano attraverso la sinergia tra le piante.
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