«L’Aquila» (1951) di Henri Cartier-Bresson

© Fondazione Henri Cartier-Bresson, Magnum Photos

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«L’Aquila» (1951) di Henri Cartier-Bresson

© Fondazione Henri Cartier-Bresson, Magnum Photos

A Palazzo Roverella «l’occhio del secolo» sul Bel Paese

A Rovigo 200 scatti del fotografo francese raccontano l’Italia attraverso un duplice percorso: quello individuale, poetico e professionale in oltre trent’anni di attività, e quello corale, sociale e paesaggistico, dei territori immortalati

Con la sua Leica venne a esplorare l’Italia ben prima di diventare un mito della fotografia, e poi tornò più volte, perché Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 1908-Montjustin, 2004), definito l’«occhio del secolo» per la sua instancabile e lucida capacità di documentare, questo Paese lo capì da subito, e continuò a guardarlo con l’incanto e la profondità che ci ha restituito nei suoi scatti. La mostra «Henri Cartier-Bresson e l’Italia» allestita nel Palazzo Roverella di Rovigo (fino al 26 gennaio 2025) è un invito a ritrovare lo sguardo mobile e fulminante del fotografo francese, sugli itinerari dei viaggi che lo portarono a immortalare luoghi iconici, o ancora misconosciuti, della Penisola. L’esposizione, che nel nitido bianco e nero dei reportage racconta coloriture e contrasti di persone e ambienti, ha un’ampiezza mai proposta prima su questo tema, che approfondisce grazie a oltre 200 fotografie vintage e a documenti, tra i quali lettere e ritagli di giornali.

Promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo, l’esposizione è realizzata in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e con la Fondazione Camera-Centro Italiano per la Fotografia di Torino, i cui direttori, Clément Chéroux e Walter Guadagnini, hanno curato il progetto. Grazie alla scelta curatoriale di ricostruire cronologicamente i diversi viaggi compiuti nel tempo dal fotografo, è possibile leggere lo svolgersi di un duplice percorso di trasformazione in parallelo: quello individuale, poetico e professionale dell’autore in oltre trent’anni di attività, e quello corale, sociale e paesaggistico, dei territori immortalati. 

Un itinerario che si articola, dunque, nel tempo e nello spazio: dal primo viaggio di piacere compiuto da Cartier-Bresson negli anni ’30, insieme ai giovani amici intellettuali di area surrealista, come lo scrittore André Pieyre de Mandiargues e la pittrice Leonor Fini, passando per la memorabile «scoperta» dell’Abruzzo e della Lucania all’inizio degli anni ’50, con le iconiche rappresentazioni che hanno rivelato al mondo la potente bellezza di Scanno e Matera, fino ai servizi realizzati negli anni ’50-’60 per grandi riviste come «Holiday» e «Harper’s Bazaar», dedicati a mete più note agli stranieri come Roma, Napoli e Venezia, ma anche a Ischia e alla Sardegna, all’epoca ancora da scoprire, risonanti di echi antichissimi. Echi portati fino a noi grazie a tutti quei neri profondi, magistralmente chiamati a catturare occhi intensi, abiti e fatiche, labirinti di paese, crepe e erosioni, ma anche sorrisi, pani freschi e aperture nella luce. 

«Incoronazione di Giovanni XXIII, Città del Vaticano» (1958) di Henri Cartier-Bresson. © Fondazione Henri Cartier-Bresso, Magnum Photos

Valeria Tassinari, 26 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

A Palazzo Roverella «l’occhio del secolo» sul Bel Paese | Valeria Tassinari

A Palazzo Roverella «l’occhio del secolo» sul Bel Paese | Valeria Tassinari