Flaminio Gualdoni
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«L’arte contemporanea è sempre più in bilico tra creazione e deiezione», ha scritto di recente Marino Niola a proposito della banana di Cattelan, che tal Justin Sun, ricco uomo d’affari, ha pagato 6,2 milioni di dollari e poi si è mangiato. Niola è un illustre antropologo, e per di più è simpatico: ma questa volta mi pare che si sia fatto prendere la mano dal casino mediatico intorno al fatto, e sia uscito di misura. Suggerire l’affinità con le deiezioni ha a che fare piuttosto con la «Merda d’artista» (1961) di Piero Manzoni (posto, e non concesso, che dentro ci sia davvero la cacca dell’autore): e comunque il senso era che il prezzo dell’oggetto era fissato nel peso equivalente in oro, e più ancora con l’azione «Consumazione dell’arte, dinamica del pubblico, divorare l’arte», protohappening del 21 luglio 1960 in cui in una sorta di rito collettivo gli spettatori mangiarono uova sode predisposte da Manzoni.
La banana, nell’opera di Cattelan intitolata «Comedian», è solo una cosa messa lì, sulla parete, e non prevede che la si mangi. È un’operazione sul valore, sul mercato dell’arte, sul suo sempre più periclitante, ambiguo e pervasivo essere uno status symbol. L’operazione nasce e si compie nel momento in cui qualcuno la compra, episodio forte del gioco di Cattelan sull’idea di mercato dell’arte. Justin Sun l’aveva ben compreso, quando ha fatto la sua offerta in asta. Ha ottenuto ciò che voleva: uno spottone pubblicitario planetario che gli ha garantito un ritorno di notorietà più che adeguato alla cifra spesa. Poi, far tornare la banana a fare la banana, e mangiarsela, con il corollario dell’offerta di comprarne alcune altre migliaia a chi la vendette sulla bancarella, è un corollario insensato, stupido, fuorviante. Riporta il frutto alla sua ragione funzionale, largamente straniata dall’autore quando l’ha appesa al muro. Il gesto di Sun fa venire in mente piuttosto la triste performance di Pierre Pinoncelli, colui che il 25 agosto 1993 fece pipì nella «Fountain», l’orinatoio che Marcel Duchamp presentò nel 1917 come opera scultorea. Roba derivativa, ripetizione senz’anima, ideuzza mediocre montata sulle spalle del colpo di genio, irritante ma genio vero, dell’artista.
Certo, ai tempi di Duchamp e anche in quelli di Manzoni si viveva in un altro mondo dell’arte, e soprattutto i media avevano ben altro che l’arte su cui strologare. Justin Sun ha voluto tener vivo l’effet de scandale che il suo acquisto aveva generato, ma è un parvenu e da parvenu si è comportato: lui è convinto che le banane si mangino, e basta.
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