Georgina Adam
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La notizia riportata dal «Financial Times» secondo cui gli utili di Sotheby’s sono calati di un incredibile 88% nella prima metà del 2024, con un crollo delle vendite all’asta del 25%, non può sorprendere il mondo dell’arte. Anche Christie’s ha registrato un calo del 22% delle vendite nello stesso periodo ed entrambe le case stanno riducendo il personale. Il calo degli utili di Sotheby’s è stato comunicato agli investitori poco prima della notizia che Adq, il fondo sovrano con sede ad Abu Dhabi, si sarebbe unito al proprietario di maggioranza della casa d’aste, Patrick Drahi, per iniettare nell’azienda nuovi capitali per circa 1 miliardo di dollari.
Un portavoce di Sotheby’s ha confermato che Adq fornirà la maggior parte dei finanziamenti e diventerà proprietario di minoranza attraverso l’emissione di nuove azioni. L’accordo dà un po’ di respiro a Drahi. Il suo impero, Altice, è alle prese con una montagna di debiti da 60 miliardi di dollari; recentemente ha venduto un quarto del gruppo britannico di telecomunicazioni Bt al miliardario indiano Sunil Bharti Mittal. Sembra una «fin de règne», ha dichiarato a «Le Figaro» Benoit Soler, senior director della società di investimenti francese Keren Finance.
Drahi ha costruito il suo impero quando il mondo era ubriaco di denaro a buon mercato; in un «leveraged buy-out» (ovvero con denaro preso a prestito dalle banche) attraverso la sua società Bidfair nel 2019 ha acquisito Sotheby’s per 3,7 miliardi di dollari. Da allora, però, i tassi d’interesse sono aumentati e il mercato dell’arte è crollato, e Drahi ha venduto attività per far fronte all’accumulo di debiti.
I travagli delle case d’asta sono pubblici: tutti possono confrontare i totali delle vendite di quest’anno con quelli precedenti e trarre le loro conclusioni. Più privato è ciò che accade nel settore dei dealer, ma le notizie non sono migliori. Inevitabilmente, i galleristi tendono a mantenere il riserbo sugli affari, ma il «canarino nella miniera» è il crescente numero di chiusure di gallerie. Ad aprile di quest’anno, la celebre galleria Marlborough ha deciso di gettare la spugna seguita da una serie di altre chiusure. A Londra, Fold e Vitrine sono scomparse; a New York, galleristi di lunga data come Washburn, Alexander e Bonin e Betty Cuningham se ne sono andati o sono passati a un modello su appuntamento. Mitchell-Innes & Nash hanno lasciato il loro spazio a Chelsea, mentre Lévy Gorvy Dayan ha chiuso la sua sede di Hong Kong.
«Nessuno vuole parlarne pubblicamente, ma al momento la situazione è molto difficile per il settore», afferma un professionista del mercato dell’arte che chiede di rimanere anonimo. Di certo la situazione geopolitica è terribile, considerando le guerre a Gaza e in Ucraina, oltre all’incertezza sull’esito delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. Il mese prossimo il nuovo Governo laburista britannico presenterà il bilancio, e ha già avvertito che «sarà doloroso».
Non c’è da stupirsi che i collezionisti stiano adottando una posizione di «attesa» fino a quando non avranno maggiore chiarezza. La domanda che ci si pone è: una volta che la situazione si sarà stabilizzata, i collezionisti torneranno o assisteremo a un cambiamento di comportamento più marcato? L’arte non è certo un acquisto indispensabile nei momenti migliori; e questi non sono i momenti migliori.
Indossate i giubbotti di salvataggio, ci sono acque agitate in arrivo.
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