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Giulia Rogni
Leggi i suoi articoliLa storia dell’arte del secondo Novecento non sarebbe la stessa senza Dorothy e Herbert Vogel. Non perché avessero patrimoni straordinari o per atti eclatanti sul mercato, ma perché dimostrarono, quasi contro ogni logica del sistema, che il collezionismo può essere un atto di amore e responsabilità culturale, più che di investimento. Dorothy Vogel, la metà più schiva e riflessiva della celebre coppia, è morta il 10 novembre a New York, all’età di 90 anni. Con Herbert, scomparso nel 2012, ha formato una delle unioni più iconiche e improbabili del mondo dell’arte: una bibliotecaria e un impiegato delle poste, capaci di costruire una delle più importanti collezioni di Minimalismo e arte concettuale al mondo.
Dorothy Rachel Schwartz era nata nel 1935 a Elmira, nello Stato di New York. L’incontro con Herbert nel 1960, mentre lavorava come bibliotecaria nella rete delle Brooklyn Public Libraries, fu l’inizio di una storia personale e intellettuale rarissima. I due cominciarono quasi subito a visitare mostre, gallerie, studi di artisti: non per moda, ma per curiosità, rispetto e disponibilità a lasciarsi sorprendere. A differenza di molti collezionisti contemporanei, i Vogel non acquistarono mai sull’onda del mercato. Seguivano gli artisti che stimavano, compravano opere che potevano permettersi, quasi sempre con lo stipendio di Herbert, riservando quello di Dorothy ai bisogni quotidian,—e soprattutto costruivano relazioni profonde. Amicizie. Fiducia. Nel loro piccolo appartamento rent-controlled sull’Upper East Side hanno accumulato, catalogato e vissuto insieme a migliaia di opere, in un rapporto fisico, quasi domestico, con la creazione artistica.
Il loro sguardo si rivolse presto ai linguaggi radicali e anticonvenzionali degli anni ’60 e ’70. Sostennero artisti che all’epoca sembravano quasi indecifrabili per il grande pubblico: Sol LeWitt, con cui instaurarono un legame profondissimo; Donald Judd e Robert Mangold, maestri del rigore formale; Richard Tuttle, Lynda Benglis, Pat Steir, Christo, spesso ancora agli inizi. Nel 1992 i Vogel decisero di donare l’intera collezione alla National Gallery of Art di Washington. Una scelta coerente con il loro modo di intendere l’arte: un bene che deve essere accessibile a tutti, com’era stato per loro la visita alla National Gallery durante la luna di miele nel 1962: gratuita, aperta, democratica. All’epoca la collezione contava già 2.500 opere; ne sarebbero diventate più di 4.000 in totale. Dorothy Vogel lascia un’eredità fatta di opere, certo, ma soprattutto di un’idea di collezionismo: lenta, affettuosa, libera.
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