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Giovanni Sarti

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Giovanni Sarti

Addio a Giovanni Sarti

Nato nelle Marche da una famiglia albanese, iniziò come cameriere e croupier, ma divenne uno dei più noti antiquari della sua generazione. Fu anche mecenate di importanti restauri e donazioni. Ripercorriamo la vita di un protagonista del mercato dell’arte antica

 

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Laura Lombardi

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Si è spento all’età di 81 anni Giovanni Sarti, uno degli antiquari più noti e apprezzati della sua generazione, figura di riferimento soprattutto per la pittura dei Primitivi e del Seicento. Nato a Belforte all’Isauro, nelle Marche, da una famiglia albanese (con uno zio vescovo), Giovanni Sarti a diciassette anni parte per l’estero, soggiorna prima un po’ in Germania, a Francoforte, poi si trasferisce a Londra dove si guadagna da vivere facendo il cameriere e il croupier.

Ed è proprio al casinò, come lui stesso racconterà in un’intervista, che incontra degli antiquari italiani che parlano tra loro del mercatino di Portobello: «Sono andato anche io e ho detto: caspita!». Dapprima fa la guida e l’interprete degli antiquari italiani e guarda attentamente cosa comprano nelle gallerie, poi si lancia in acquisti propri, andando a Brighton a cercare opere che rivende lui stesso a Portobello. Autodidatta di genio, capace come pochi altri di «sentire» le opere, di capirle e di documentarsi, con accanimento e tanta intuizione, ed anche poliglotta, apre la sua galleria a Londra nel 1977. Tra il 1982 e il 1983 soggiorna perlopiù a New York, capendo però che l’America non è il suo mondo. Nel 1996 si trasferisce a Parigi, che ritiene il centro del mondo antiquario e del collezionismo, e dalla sua galleria, in rue du Faubourg Saint Honoré, intesse stretti rapporti col Louvre e con Michel Laclotte in particolare. Così, ad esempio, quando il Louvre gli acquista la «Crocifissione» di Francesco di Vannuccio, raro pittore senese, Laclotte lo convince a donare al Petit Palais di Avignone due antine dell’«Annunciazione» del perugino Giovanni di Tommasino Crivelli li conservata, permettendo la ricomposizione di elementi smembrati.

Finanzia anche importanti restauri, come quello, concluso nel 2018, de «La Resurrezione» di Piero della Francesca per il museo di Sansepolcro (1463-65). Sarti definiva Piero, quasi suo conterraneo, «il più grande artista che l’Italia abbia avuto» e sottolineava quanto l’Italia fosse piena di capolavori disseminati nelle province, ancor più che nelle città. «Quando si ha disponibilità è un dovere il dare per il patrimonio artistico italiano», aggiungeva.

Apparentemente severo, forse in virtù delle folte sopracciglia, Giovanni Sarti era uomo amabile e spiritoso. Il successo non lo aveva cambiato, partecipava con trasporto alle interrogazioni di studenti e giovani studiosi, non era per nulla snob, era tifoso di calcio (dell’Inter). Forte il sodalizio che lo univa alla bella moglie, Claire Éluard, figlia di Cécile, nata dal matrimonio tra Paul Éluard e Gala (poi compagna di Salvador Dalì) e Gérard Vulliamy, pittore surrealista, i cui modi raffinati si miscelavano perfettamente con le maniere più brusche e dirette del marito.

Negli anni Sarti aveva allargato i suoi interessi alla pittura seicentesca, specialmente caravaggesca, costituendo per numero e qualità un insieme unico, una collezione sempre in crescita e di altissimo tono. «Giovanni aveva un grande rispetto per la conoscenza degli storici dell’arte, ricorda Philippe Costamagna, studiava molto lui stesso, passava ore a consultare cataloghi delle aste; aveva anche imparato, da anziano, a consultarli on line. Era però rimasto molto umile, accettava i pareri degli studiosi; non era difficile convincerlo del cambiamento di un’attribuzione. È stato inoltre molto generoso coi musei, ha donato opere o ha favorito acquisti; per esempio, in tempi recenti aveva acquistato a un’asta un dipinto per il museo d’Écouen che in quel momento non aveva i fondi, per poi rivenderlo a quella istituzione al momento giusto e senza trarne alcun guadagno».

«Ho conosciuto Giovanni Sarti quando ero bambino ed era divertente vederlo lavorare con mio padre, spiega Fabrizio Moretti, che aggiunge: ci siamo poi persi di vista ma riavvicinati negli ultimi dieci-quindici anni sul piano umano più che come colleghi. Ci sentivamo al telefono anche due volte alla settimana e sempre ci andavamo reciprocamente a trovare, nei passaggi tra Londra e Parigi. Parlavamo della vita, del passato, e poco dopo la scomparsa di mio padre gli avevo chiesto: “come farò senza di te?”, perché sapevo che si sarebbe chiuso il cerchio di un gruppo di mercanti “senza scuola” (come lui diceva), self made men, ma dotati di intuito, sapienza e ingegno. Io guardavo a Sarti come a uno zio, che mi dava consigli. Una sua caratteristica che ricordo affettuosamente era il suo essere molto irascibile, ma era proprio del carattere grintoso degli uomini di quella generazione. Su un personaggio come Giovanni si potrebbe fare un film». Sarti riposa ora nel suo paese natale dove sempre amava tornare d’estate, conservando la nostalgia dei migranti e dei cittadini del mondo.

Laura Lombardi, 25 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

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