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David Landau
Leggi i suoi articoliAddio a Christopher Horace Steele-Perkins, meglio noto come Chris Steele-Perkins: nato il 28 luglio 1947 a Rangoon da madre birmana e padre inglese. Aveva 78 anni. Fotografo documentarista di fama internazionale e membro dell’agenzia Magnum Photos, Steele-Perkins ha dedicato la sua vita professionale a dare voce e volto a comunità spesso dimenticate, osservando con occhio attento sia le tensioni sociali sia gli slanci di umanità che sfidano la marginalità. Cresciuto nel Regno Unito dopo aver lasciato la Birmania in tenera età, Steele-Perkins studiò psicologia all’Università di Newcastle: fu lì che iniziò a occuparsi di fotografia per il giornale universitario, attività che lo avrebbe condotto a esplorare questioni urbane, l’identità, la povertà. Negli anni Settanta emerse col progetto The Teds, documentazione della cultura Teddy Boy in Gran Bretagna che non si limitava a descrivere uno stile, ma catturava il vivace intreccio tra subcultura, costume, classe sociale e gioventù. Nel corso della sua carriera Steele-Perkins percorse scenari molteplici: documentò la guerra in Irlanda del Nord durante i Troubles; realizzò reportage nei paesi del Terzo Mondo, in Africa, in Afghanistan; con sensibilità spesso insolita per rappresentare non solo il conflitto, ma il tessuto sociale che lo circonda.
Fra i suoi lavori più riconosciuti ci sono serie come The Pleasure Principle, England, My England, Fading Light: Portraits of Centenarians e The New Londoners: quest’ultimo progetto, pubblicato nel 2019, ritrae più di 160 famiglie immigrate che hanno fatto del Regno Unito la loro casa, offrendo uno specchio della società multiculturale e delle identità in evoluzione. Steele-Perkins fu anche pioniere dentro la sua stessa agenzia: divenne membro effettivo di Magnum nel 1983, primo membro “di colore” ad ottenere quel riconoscimento, aprendo così una breccia simbolica e reale in un ambiente fotografico tradizionalmente dominato da voci europee. La sua indagine visiva non era mai fredda: accadeva che le sue immagini restituissero la dignità, i desideri e la quotidianità delle persone, anche in situazioni dure. La sua morte lascia un vuoto non solo nel fotogiornalismo, ma nella narrazione visiva del mondo: era uno di quegli autori il cui lavoro continuava a ricordarci che le storie apparentemente laterali meritano di essere raccontate con empatia e rispetto. Lascia due figli, Cedric e Cameron, la moglie Miyako Yamada, un passofiglio e una nipote. Il suo archivio sarà conservato presso le Bodleian Libraries, come testimonianza del suo impegno e della sua capacità unica di guardare il mondo con umanità.
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