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Una poesia luminosa e infinita. La prima Infinity Mirror Room di Yayoi Kusama in mostra a Art Basel Miami Beach

“Where the Lights in My Heart Go” di Kusama sarà presentata alla fiera americana dalla galleria di Victoria Miro

David Landau

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“Where the Lights in My Heart Go” di Yayoi Kusama è una delle opere più significative della serie delle Infinity Mirror Rooms, la prima installazione completamente sviluppata in questa forma, una stanza immersiva concepita per trasformare la percezione dello spazio attraverso luci, riflessi e ripetizione. La stanza di luce sarà presentata ad Art Basel Miami Beach (dal 4 al 7 dicembre) nello stand della galleria Victoria Miro, a fianco a opere nuove e storiche di María Berrío, Secundino Hernández, Kudzanai-Violet Hwami, Isaac Julien, Idris Khan, Yayoi Kusama, Doron Langberg, Alice Neel, Maria Nepomuceno, Chris Ofili, Celia Paul, Conrad Shawcross, Do Ho Suh, Sarah Sze, Adriana Varejão e Flora Yukhnovich. I temi dello specchio, della riflessione e della ripetizione vengono ulteriormente esplorati nel booth al Convention Center: nelle opere nuove e recenti di Isaac Julien, Idris Khan, Maria Nepomuceno, Conrad Shawcross e Do Ho Suh.

Come dicevamo, l'opera della Kusama è la sua prima Infinity Mirror Room. Realizzata nel 1966 (e riproposta in versioni successive), Where the Lights in My Heart Go segna l'inizio della ricerca di Yayoi Kusama sulle stanze specchianti immersive, oggi diventate iconiche e amatissime dal pubblico. L’opera è una struttura cubica rivestita di specchi, perforata da piccole aperture che lasciano filtrare minuscoli raggi di luce naturale. Entrando nello spazio, il visitatore percepisce punti luminosi ripetuti all’infinito, come se l’interno della stanza fosse un universo privato in continua espansione. È una delle Infinity Mirror Rooms più liriche e silenziose: non usa LED, neon o luci pulsanti come le opere più recenti, ma soltanto la luce reale, una scelta che produce un’esperienza meditativa e intimista.

Gli specchi installati su tutte le superfici creano una profondità senza fine, cancellando i confini fisici della stanza, una tecnica che Kusama svilupperà per oltre 60 anni. A differenza dei suoi primi specchi “soft sculptures” e degli ambienti semi-immersivi della metà anni ’60, questa stanza richiede una presenza corporea: si entra, si guarda, ci si perde nello spazio. Per Kusama, i punti luminosi sono simboli dell’autodissoluzione dell’ego: diventare parte dell’universo attraverso la ripetizione infinita del punto,uno dei suoi segni distintivi sin dagli anni ’50. Kusama ha spiegato più volte che il suo obiettivo non è creare spettacolo, ma offrire un luogo dove la mente possa espandersi. In Where the Lights in My Heart Go: la luce rappresenta l’energia vitale; gli specchi rappresentano la moltiplicazione dell’io; l’infinito rappresenta lo stato mentale liberatorio che Kusama ricerca da sempre come risposta alla sua ansia e alle sue allucinazioni infantili. Il risultato è un ambiente che unisce minimalismo, poesia luminosa e una forte dimensione emotiva. Quest’opera è fondamentale non solo nella carriera di Kusama, ma anche nella storia dell’arte immersiva contemporanea: anticipa di decenni le installazioni “esperienziali” oggi dominanti nei musei e nei social media, ma nasce da una ricerca profondamente concettuale, non estetizzante. Da qui arriveranno tutte le sue opere future: Fireflies on the Water, Infinity Mirrored Room, The Souls of Millions of Light Years Away, e molte altre.

 

David Landau, 23 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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