Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image
Image

Adele Addio

Flavia Foradini

Leggi i suoi articoli

La controversa vicenda della restituzione ai proprietari di cinque opere di Klimt, sino al 2006 conservate al Belvedere, è diventata un soggetto hollywoodiano, ma il film riapre le polemiche

Cinque dipinti di Gustav Klimt nel 2006 lasciarono per sempre il Belvedere di Vienna alla volta degli Stati Uniti: «Adele Bloch-Bauer I», «Adele Bloch-Bauer II», «Buchenwald (Bosco di faggi)», «Apfelbaum I (Melo)» e «Häuser in Unterach am Attersee (Case a Unterach sull’Attersee)». Questi dipinti sono tuttora uno dei casi di restituzione più clamorosi a livello internazionale, tanto che sono già stati il soggetto di un paio di documentari.

Ora Hollywood ci prova con un film vero e proprio, «Woman in Gold» di Simon Curtis, affidando il ruolo ad attori di primo piano. Fra questi, il premio Oscar Helen Mirren nel ruolo di Maria Altmann, l’anziana erede di una coppia di spicco dell’alta borghesia ebraica della Vienna a cavallo fra ’800 e ’900: l’industriale Ferdinand Bloch-Bauer e sua moglie Adele. Quelle cinque tele sono state per diversi anni oggetto di contesa tra le due sponde dell’Atlantico: da un lato la Repubblica austriaca, che ha sempre ritenuto di possedere quei quadri legittimamente, grazie a un testamento di Adele, e dall’altro E. Randol Schönberg (interpretato da Ryan Reynolds), nipote del celebre compositore nonché giovane e rampante avvocato lanciato, a nome di Maria Altmann e di altri eredi dei Bloch-Bauer, in una disputa che sembrava impossibile da vincere, ma che invece è diventata una pietra miliare nell’ormai lungo elenco di casi di restituzioni milionarie. Quelle opere, frutto di rapporti diretti fra Ferdinand Bloch-Bauer e Klimt (l’attore Moritz Bleibtreu), sono state infatti non solo ridate alla famiglia, ma anche poi vendute per un totale di oltre 300 milioni di dollari: il solo ritratto di Adele su fondo oro (1907) è stato acquisito da Ronald Lauder per 135 milioni di dollari (il dipinto, accanto a disegni preparatori, fotografie di Klimt e materiale documentario della famiglia Bloch-Bauer, è ora al centro di una mostra aperta fino al 7 settembre alla Neue Galerie di New York).

Dapprima presentato un po’ in sordina alla Berlinale 2015 lo scorso febbraio, una volta giunto nelle sale austriache all’inizio dell’estate il film ha riportato alla luce diatribe che sembravano sopite e ha innescato un acceso dibattito. Confezionato in modo avvincente, «Woman in Gold», girato in gran parte a Vienna nel 2014, fornisce infatti una ricostruzione semplificata, che non lascia alcunché di positivo nell’immagine dell’Austria, dei suoi politici e dei suoi funzionari. E cambia alcuni fatti, come sostiene Robert Holzbauer, esperto di restituzioni ed ex perito della Repubblica proprio nella causa Bloch-Bauer: «L’intera vicenda non è a contorni così netti come Hollywood vorrebbe e anche il testamento di Adele non viene citato correttamente».

Holzbauer non giunge tuttavia ad affermare che la restituzione stabilita da un collegio arbitrale all’inizio del 2006 sia stata illegittima: «Fu una decisione del Governo di allora, guidato da Wolfgang Schüssel. L’apposita commissione per le restituzioni aveva già dato parere sfavorevole alla restituzione nel giugno del 1999. Sono convinto che il collegio arbitrale sia stato insediato per poter rivedere quella decisione». Anche per Klaus Pokorny, al tempo della causa portavoce del Belvedere, alcuni fatti storici non vengono restituiti da «Woman in Gold» nella giusta luce e si dice convinto che l’esito della disputa fu generato in sede politica: «Gerbert Frodl, allora direttore del Belvedere, compare per esempio nel film con altro nome e come semplice funzionario del museo. Vero è invece che proprio lui cercò di parlare a tu per tu con Maria Altmann (poi scomparsa il 7 febbraio 2011 all’età di 94 anni, Ndr), ma non avendone mandato, venne richiamato all’ordine, dopodiché si tirò indietro. In quella vicenda vi fu un comportamento insensibile da parte del mondo politico.

Non dimentichiamo che in quel periodo l’Austria aveva un Governo posto sotto sanzione dall’Europa per il suo orientamento a destra. La decisione di restituire metteva il Paese sotto una luce più positiva, ma evidentemente si temeva che facendo anche il passo di un enorme esborso di danaro pubblico per poter tenere le opere in patria, l’opinione pubblica austriaca non avrebbe capito. Tuttavia io stesso sondai in questo senso il terreno con grandi aziende, per stabilire se vi fosse disponibilità a finanziare una trattativa di riacquisto dei dipinti dagli eredi. La risposta generale fu: sì, a patto che vi sia la volontà politica. Il treno della storia era però già partito in un’altra direzione. Il giorno in cui i quadri lasciarono il museo fu terribile e triste».

Anche il quotidiano «Der Standard» ha attaccato la ricostruzione storica del film e in particolare il forte ridimensionamento del fondamentale ruolo giocato dal giornalista investigativo Hubertus Czernin (interpretato da Daniel Brühl), un’opinione condivisa da Holzbauer: «La sceneggiatura pare una sorta di autocelebrazione di Schönberg, che ne diventa l’eroe indiscusso (il soggetto del film è basato sulle memorie di Maria Altmann e del suo avvocato, Ndr)». In concomitanza con la presentazione del film, a Vienna si è assistito anche a un ampio mea culpa del mondo artistico: «È vero che fino alla prima, clamorosa causa di restituzione, quella per il ritratto “Wally” di Egon Schiele nel 1998, quasi nessuno si era mai preoccupato della provenienza delle opere. Semplicemente non c’era questa consapevolezza», dice il vicedirettore del Wien Museum, Ursula Storch. Nel frattempo sappiamo che bisogna sempre agire, con rapidità e senza esitazioni e, anche nel dubbio, comunque restituire». 

Flavia Foradini, 31 luglio 2015 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Dal 21 marzo, i 1.000 metri quadrati del padiglione 19 nel complesso dell’Arsenale saranno dedicati alla produzione fotografica contemporanea locale e internazionale. Obiettivo: dieci mostre all’anno 

La Österreichische Nationalbibliotek mette online la preziosa biblioteca del celebre condottiero e collezionista Eugenio di Savoia, una delle più pregevoli raccolte di manoscritti e libri di epoca barocca

Una delle più apprezzate rappresentanti degli Young British Artists è protagonista della mostra all’Albertina con ritratti e autoritratti frutto di stratificazioni, a metà tra astrazione e figurazione

L’Albertina attinge alla propria collezione per raccontare, attraverso 140 opere su carta, analogie e differenze fra Paesi a sud e a nord delle Alpi rispetto all’uso di tecniche e possibilità espressive diverse

Adele Addio | Flavia Foradini

Adele Addio | Flavia Foradini