È una mostra ad ampio spettro, quella che il Belvedere Inferiore propone dal 20 febbraio al 7 settembre col titolo «Gustav Klimt. Pigmento & pixel. Riscoprire l’arte con la tecnologia». L’intento sotteso all’iniziativa curata da Franz Smola è di mettere in risalto come l’impiego di sofisticate tecniche possa condurre a scoperte importanti sul metodo di lavoro, sulla tecnica pittorica e sui materiali usati da un artista.
Recenti analisi hanno consentito innanzitutto di stabilire divergenze anche significative tra schizzi e disegni preliminari da un lato, e dall’altro l’aspetto definitivo di numerosi dipinti. Anche l’uso dell’oro, che ha fatto nel tempo la fortuna della fama di Klimt, è stato studiato, giungendo alla conclusione che l’artista non solo usò quasi esclusivamente metallo a 23,5 carati, ma che, per esempio nel «Bacio», applicò anche altri metalli in vari strati, fra cui il platino, riscontrato, ad esempio, nei cartoni preparatori per il «Fregio» di Palazzo Stoclet a Bruxelles. In alcune opere Klimt dipingeva anche sopra la foglia d’oro: «È un procedimento che funziona solo a patto di rispettare lunghi tempi di asciugatura, spiega la restauratrice Barbara Steiner. Nel caso di “Giuditta I” (1901) lo si può vedere molto bene agli infrarossi e lo si nota anche a occhio nudo nella collana, dove Klimt dipinse sopra l’oro, creando notevoli effetti scultorei».
La mostra propone inoltre una ricostruzione delle cromie dei tre monumentali dipinti commissionati nel 1894 a Klimt dall’Università di Vienna e che avrebbero dovuto essere fissati al soffitto dell’aula magna: le allegorie della Filosofia, della Medicina e della Giurisprudenza (l’allegoria della Teologia era stata invece affidata a Franz von Matsch). L’università tuttavia le rifiutò per la scabrosità e la «bruttezza» delle raffigurazioni, dando il via a un lungo e acceso scandalo. Come reazione, Klimt chiese di riavere le opere, restituendo con l’aiuto dei mecenati e collezionisti August Lederer e Karl Wittgenstein l’anticipo già ricevuto sul compenso pattuito. Durante la Seconda guerra mondiale i quadri vennero depositati assieme ad altre opere nel castello di Immendorf, non lontano da Vienna, ma nelle ultime ore del conflitto, le Ss incendiarono l’edificio e le opere andarono presumibilmente perdute. Dei tre dipinti per l’università rimasero solo fotografie in bianco e nero, a eccezione di un’immagine a colori della dea Igea e di un olio preparatorio per la Medicina. Il Belvedere propone ora in mostra anche una versione ricolorata dei tre dipinti, effettuata con l’Intelligenza Artificiale in collaborazione con Google Arts & Culture, mentre una riproduzione colorata della Medicina (12x8 m), quella cioè su cui si è in possesso di maggiori indizi cromatici, è stata applicata a una facciata della Facoltà di Medicina nel campus universitario di Vienna.