Nella penombra un giovane nudo e sofferente, appeso per i piedi davanti all’altare di una cappella del Cinquecento, reinterpreta «La crocefissione di San Pietro» di Caravaggio in un’azione che combina le pratiche bondage e le narrative sulla morte e resurrezione di Cristo, per analizzare l’intensa relazione tra la religione e le dissidenze sessuali. Si tratta del video «Requiem. Mundo invertido» che apre il percorso espositivo di «Carlos Motta. Plegarias de resistencia», la prima antologica in Europa dell’artista colombiano, visibile nel Museo de Arte Contemporaneo de Barcelona (Macba), fino al 26 ottobre. «Mundo invertido», che è stato girato in provincia di Lucca con la collaborazione di Eugenio Viola e dell’Associazione Culturale dello Scompiglio, lascia presagire le inquietanti problematiche che articolano la mostra, proprio a partire dal quel termine pieno di disprezzo che si utilizzava per definire i gay. «Il termine “invertito” in quest’opera allude a una comunità doppiamente perseguitata, perché non si adegua alle norme sessuali e perché vuole vivere la propria fede cristiana, nonostante la sua condizione vitale», afferma Agustín Pérez-Rubio, curatore della mostra con Maria Berríos del Macba, sottolineando che, con l’obbiettivo di invertire le narrazioni dominanti, l’artista si riappropria degli insulti rivolti alle persone queer per trasformarli in slogan o in una sorta di «invocazione degli indifesi».
Dopo tante critiche e mostre non indimenticabili, finalmente il Macba presenta un allestimento, che sia dal punto di vista concettuale sia visivo, lascerà il segno ed è proprio quello che vuole Carlos Motta (Bogotá, 1978) artista, docente e combattente per la libertà sessuale e i diritti delle comunità dissidenti. «Non ci aspettavamo di inaugurare con Trump presidente, in piena tormenta per i cambi che sta realizzando a livello di leggi e diritti», ha dichiarato Motta, che da molti anni vive a New York, dove insegna all’università. «Le comunità Lgbtiq+ hanno lottato molto per ottenere diritti basici che credevamo acquisiti e invece vengono cancellati da un giorno all’altro», continua l’artista, che presenta per la prima volta insieme le videoinstallazioni «Nefandus», «Naufragios» e «La visión de los vencidos». «La trilogia esplora l’omoerotismo preispanico e coloniale in tre saggi cinematografici che rivelano e documentano l’imposizione di categorie epistemologiche europee, attraverso la forza e la violenza, durante e dopo la conquista dell’America», spiega l’artista.
Il ricco immaginario delle opere di Motta, così come le molteplici questioni che le animano, non si limitano a temi d’identità e di genere e alla violenza in ambito sessuale, ma toccano questioni relative alla neocolonizzazione (e ai tentativi di decolonizzazione) e all’immigrazione dall’America Latina, che si materializzano in opere profondamente poetiche dalla delicata bellezza formale, curata fino all’ultimo dettaglio. È il caso di «Hacia una historiografía homoerótica», composta da venti repliche in miniatura, realizzate in oro, di sculture preispaniche che riproducono atti omosessuali. «L’opera propone una riflessione sulla censura di questi oggetti da parte delle scienze sociali e mette in discussione i valori cristiani che sono stati loro imposti, riconsiderando al contempo il ruolo che il corpo, il desiderio e il piacere possono aver avuto nelle culture antiche», precisa Pérez-Rubio, segnalando altre due serie che utilizzano la stessa strategia di riappropriazione dell’iconografia del passato. Una, «Estimada Martina», allude alla repressione storica delle identità intersessuali attraverso dieci stampe 3D in arenaria che riproducono figure ermafrodite ispirate alle sculture di Roma e dell’antica Grecia. L’altra, «Nosotrxs el enemigo», è un’installazione composta da 41 sculture in bronzo ispirate alle rappresentazioni storiche di Satana, che sfidano gli standard normativi di bellezza, rispettabilità e comportamento.
Il tema della censura storica appare in diverse opere, che rivelano storie fino ad oggi silenziate, come il trittico fotografico «Mi querido R. (Monumento a Alexander von Humboldt)», che rivendica l’orientamento sessuale del geografo ed esploratore attraverso una lettera d’amore da lui scritta al suo soldato Reinhard von Haeften. In mostra anche autoritratti fotografici di gioventù in cui Motta interpreta personaggi di fantasia in ambienti inquietanti. In queste scene, il corpo e il genere dell’artista diventano irriconoscibili, anticipando l’alterità sessuale e l’elasticità dell’identità che sviluppa nella sua pratica artistica attuale. «Vorremmo portare questa mostra in Francia e in Italia, ma purtroppo si tratta di argomenti che non tutte le istituzioni sono pronte a trattare», conclude Pérez-Rubio.
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Una veduta della mostra «Plegarias de resistencia» di Carlos Motta al Macba di Barcellona. © Miquel Coll