Con la mostra «Il resto di niente» (fino al 29 luglio), a cura di Eva Fabbris con Giovanna Manzotti e promossa dal Museo Madre e da Gucci, il museo napoletano avvia nuovamente la programmazione espositiva, dopo aver completato una prima fase di lavori di straordinaria manutenzione. L’esposizione, nata da un’idea di Sabato De Sarno, non diversamente dal romanzo (1986) di Enzo Striano ambientato durante la Rivoluzione napoletana del 1799 e dal quale la collettiva prende in presto il titolo, restituisce una lettura delle trasformazioni sociali e antropologiche che interessano Napoli in un’epoca di importanti e veloci cambiamenti, i quali, inevitabilmente, investono lo stesso statuto identitario della città.
La mostra, che si inserisce all’interno di una riflessione promossa dal museo napoletano sui nuovi e vecchi stereotipi con cui la città si racconta ed è raccontata, si sviluppa a partire dallo sguardo visionario di Aldo Loris Rossi (Bisaccia, 1933-Napoli, 2018), il cui approccio estetico e politico all’architettura e all’urbanistica emerge nei disegni esposti, molti dei quali concepiti assieme a Donatella Mazzoleni (Firenze, 1943). Da questa sollecitazione, suggerita dalle sue idee sull’abitare, scaturisce un racconto polifonico, fatto di installazioni, fotografie, opere video e sonore, sculture di neon, che dialogano con i suoi progetti di architettura brutalista, come la «Casa del Portuale» (1968-80) e il complesso residenziale di Piazza Grande (1979-89). Ideati nel solco delle utopie del secondo dopoguerra, appaiono oggi entità autonome nel panorama urbano cittadino, ma, al tempo stesso, sono oggetto di risemantizzazione da parte di una nuova cultura pop.
Tali progetti, in dialogo con opere di artisti distanti per generazione, ricerche e provenienze, offrono interessanti sollecitazioni. In mostra, quindi, le fotografie di Tobias Zielony (Wuppertal, 1974) delle celebri costruzioni di Rossi; le sculture gonfiabili di Franco Mazzucchelli (Milano, 1939), che occupano lo spazio del museo; il sonoro urbano di Sara Persico (Napoli, 1993), che trova una corrispondenza nella fiancata dell’automobile di Angharad Williams (Ynys Môn, 1986); le trappole esistenziali dell’odierno abitare nelle opere di Giulio Delvè (Napoli, 1984) e di Özgür Kar (Ankara, 1992); la dimensione emotiva dell’abitare nei lavori di Jim C. Nedd (italo-colombiano, 1991), RM (Bianca Benenti Oriol e Marco Pezzotta, duo fondato a Ginevra, 2015), Domenico Salierno (Napoli, 1967); la soluzione concettuale di Vincenzo Agnetti (Milano, 1926-81) e quella cosmogonica di Nanda Vigo (Milano, 1936-2020).