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Gaspare Melchiorri
Leggi i suoi articoliIl 1839 è l’anno universalmente riconosciuto come quello dell’invenzione della fotografia, scoperta che ebbe una portata rivoluzionaria nella storia dell’umanità. Nel dicembre di quell’anno, quando i primi dagherrotipi furono esposti a New York, l’ex sindaco della città Philip Hone si meravigliò nel suo diario di quella che descrisse come «una delle meraviglie dei tempi moderni», aggiungendo che «come altri miracoli, si può quasi essere scusati per non crederci, senza aver visto il processo con cui è stata creata».
Parte dalle origini della fotografia un allestimento al Metropolitan Museum of Art che percorre la storia di questa disciplina dal 1839, appunto, sino a tutta la prima decade del XX secolo. Con circa 275 fotografie, la maggior parte delle quali mai esposte prima, «The New Art: American Photography, 1839-1910» esplora il mutevole senso di sé della nazione statunitense, guidato dal successo immediato della fotografia come strumento culturale, commerciale, artistico e psicologico. Le opere più importanti di autori famosi come Josiah Johnson Hawes, John Moran, Carleton E. Watkins e Alice Austen sono presentate in dialogo con scatti straordinari di professionisti oscuri o sconosciuti realizzate in piccole città in tutti gli Stati Uniti. Tutto il materiale esposto proviene dalla collezione di William L. Schaeffer. La mostra sarà visitabile dall’11 aprile al 20 luglio.
La straordinaria capacità del dagherrotipo di trattenere in modo permanente sulla sua superficie un’immagine straordinariamente dettagliata (immagine che fino ad allora era stata vista solo di sfuggita in uno specchio) sembrava in egual misura incredibile e perfettamente reale, oscuramente misteriosa eppure scientificamente verificabile. La qualità «soprannaturale» della nuova arte fu notata da molti in tutto il mondo. Come scrisse un recensore su un settimanale di Baltimora nel gennaio del 1840, «non riusciamo a trovare un linguaggio per esprimere il fascino di queste immagini dipinte da una mano non mortale».
Organizzata principalmente per formato di immagine in tre gallerie, «The New Art» illustra come appariva la fotografia per il cittadino medio che lavorava e per coloro che si trovavano ai vertici della scala economica. I visitatori della mostra possono vedere gli abiti che gli individui indossavano al lavoro e a casa, i loro atteggiamenti verso la macchina fotografica singolarmente e in gruppo, il loro modo di stare seduti o in piedi o di toccare, e il modo in cui onoravano i loro figli e rispettavano i loro familiari malati o deceduti di recente.
Possono osservare vetrine di negozi appena confezionate, vedere come i contadini lavoravano i loro campi e osservare il punto in cui le nuove città incontravano la natura selvaggia. Possono osservare la devastazione quasi totale delle comunità di nativi americani, in particolare di quelli che vivevano nelle pianure, e confrontarsi con la crudeltà della schiavitù e il ruolo influente della macchina fotografica nella Guerra Civile.
Nei dagherrotipi, nei ferrotipi e nelle stampe su carta, gli spettatori possono anche iniziare a vedere e comprendere come gli afroamericani durante la Guerra Civile, per tutta l’epoca della Ricostruzione e fino al XX secolo abbiano lentamente iniziato a sostituire gli stereotipi negativi con immagini positive di sé. Questo sforzo fu esplicitamente alimentato da Frederick Douglass, che da tempo sosteneva la necessità di visitare gli studi fotografici. Nel suo circuito di conferenze quasi sempre in giro per il Paese, sosteneva in modo persuasivo che nessuno poteva essere veramente libero finché ogni individuo non avesse potuto sedersi e possedere la propria immagine fotografica. In «The New Art», uomini e donne di colore catturano definitivamente l’attenzione della macchina fotografica e dell’osservatore.
«Attraverso un’impressionante serie di immagini del XIX e dell’inizio del XX secolo che catturano la complessità di una nazione nel bel mezzo di una profonda trasformazione, questa mostra offre qualcosa di nuovo anche a coloro che hanno una buona conoscenza della storia della fotografia», ha dichiarato Max Hollein, direttore e chief executive officer del Metropolitan. La mostra è resa possibile dal Diane W. and James E. Burke Fund e dal Diane Carol Brandt Fund. Un ulteriore sostegno è fornito dalla Horace W. Goldsmith Foundation.