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Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliColorato, scenografico, accattivante non solo per sede (quella Palazzina della Meridiana di Palazzo Pitti dalle ricche decorazioni realizzate tra Sette e Ottocento, a cavallo tra le dominazioni lorenese e sabauda) ma soprattutto per tema e continuo rimando tra abiti e opere d’arte che ne è una delle caratteristiche peculiari, il Museo della Moda e del Costume è immediatamente diventato, dopo il completo riallestimento avvenuto quattro anni fa, uno dei best seller dell’offerta museale fiorentina.
Costringendo alla periodica rotazione degli abiti, le logiche di conservazione sottese all’esposizione di una collezione che vanta circa 15mila numeri di inventario tra capi e accessori diventano infatti occasione di allestimenti che si rinnovano frequentemente, mantenendo vigile e viva la curiosità dei visitatori.
Il Museo propone ora un nuovo step della sua storia recente, in cui le sale dedicate alla moda sette-ottocentesca (riaperte nel luglio 2024) e l’esposizione degli abiti funebri medicei rimangono invariate, mentre un nuovo allestimento conduce dalla sofisticata moda di gusto orientalista degli anni Venti allo scintillante mondo di coloratissime paillette che caratterizza la giocosa contemporaneità di Enrico Coveri. A curare le nuove sale è come sempre la responsabile del museo Vanessa Gavioli, che ha lavorato a stretto contatto con il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde, al cui circuito il museo appartiene. «Questa nuova selezione racconta la moda del Novecento come linguaggio visivo e culturale, in costante dialogo con la pittura e le arti, ha affermato Verde. Dalle “flapper” degli anni Venti che segnano gli albori dell’emancipazione femminile conseguente alla Prima guerra mondiale, al tailleur della donna manager contemporanea, la moda si rivela specchio della trasformazione del femminile, affiancando e arricchendo la narrazione figurativa dell’arte».
Prima del nuovo percorso, la Sala 7 intitolata «Gli anni Venti: la moda Charleston tra avanguardie ed esotismo» presenta straordinari pezzi unici come l’abito appartenuto all’ammiratissima donna Franca Florio, grande protagonista anche del precedente allestimento, e quello indossato dalla moglie di Galileo Chini, Elvira, donatole dal marito di ritorno dal Siam e da lei indossato nel 1926 per la prima di «Turandot» alla Scala di Milano. Non a caso, i quattro abiti selezionati da Gavioli sono esposti davanti allo splendido trittico siamese del poliedrico artista liberty, appartenente alle collezioni della limitrofa Galleria di Arte Moderna (Gam). Analogamente, gli abiti da sera di gusto surrealista creati negli anni Trenta da Madeleine Vionnet ed Elsa Schiaparelli ed esposti nella Sala 9 si confrontano con l’opera di Felice Casorati «Lo straniero», sempre delle collezioni della Gam, mentre la vena futuristica tipica dello Space Age Movement degli anni Sessanta, interpretato dagli outfit di Courrèges, Pierre Cardin, Paco Rabanne e André Laugh si stagliano sul grandissimo, splendido quadro astratto di Alberto Burri «Bianco e nero» (1969). «Abbiamo scelto di abbinare abiti e opere d’arte in modo da contestualizzare entrambi, precisa Verde, offrendo peraltro maggiore visibilità alle nostre collezioni moderne e contemporanee, altrimenti poco note al grande pubblico e spesso anche poco visibili».
La comunicazione ha scelto di puntare su un abito di grande glamour, come lo Schiaparelli da sera rosso ciclamino della fine degli anni Trenta. «Oltre a essere molto scenografico, è anche un abito estremamente significativo per noi che siamo un museo, non un archivio di moda, afferma Gavioli. Quest’abito ha infatti alle spalle un’affascinante storia collezionistica, essendo appartenuto alla giornalista e scrittrice di moda Anna Piaggi che lo ha modificato per poterlo indossare. Un elemento di grande interesse che risente del gusto surrealista è il grande fiocco/tasca laterale: non solo un ornamento, ma anche una specie di manicotto che può contenere degli oggetti. Si tratta di un acquisto dello Stato all’esportazione del 2010. All’epoca la collezione di Anna Piaggi stava partendo per Londra, ma lo Stato italiano ne acquisì un significativo nucleo di sei abiti allo scopo di destinarlo al nostro museo, che è stato il primo a livello statale dedicato alla moda e al costume».

La Sala 16 è dedicata a Roberto Capucci. Sullo sfondo l’attuale sala conclusiva, dedicata a Coveri e Cassini. Immagine courtesy Gallerie degli Uffizi
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