Sfidò le convenzioni sociali, estetiche e politiche della sua epoca e a cinque anni dalla sua morte la sua lotta continua. Stiamo parlando della straordinaria artista libanese Huguette Caland (Beirut, 1931-2019) e della mostra «Una vida en pocas líneas», che il Museo Reina Sofía di Madrid presenta dal 19 febbraio al 25 agosto. La prima gran retrospettiva in Europa dell’artista, realizzata con la collaborazione del Deichtorhallen di Amburgo che la accoglierà dal 24 ottobre al 26 aprile 2026, riunisce oltre 300 opere, molte inedite, tra disegni, dipinti, tessuti e collage provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti. «Nonostante la fantastica selezione di opere esposte in mostra, ne mancano 33 di istituzioni e collezionisti privati del Libano. Dal settembre 2024 i continui attacchi dell’esercito israeliano hanno provocato l’esodo di oltre un milione di persone, la morte di almeno seicento e gravi sconvolgimenti nella vita quotidiana dei libanesi, impedendoci di trasportare queste opere. Sebbene rappresenti un danno lieve rispetto alla portata delle catastrofi umanitarie causate dalla guerra a Gaza, in Cisgiordania e in Libano, è importante segnalare la mancanza di queste opere soprattutto considerando il contesto attuale, l’origine e l’impegno dell’artista», ha denunciato la curatrice Hannah Feldman sottolineando che il filo narrativo della mostra è stato alterato significativamente.
«La cosa più preoccupante è che questi cambi hanno influito sul ruolo centrale che il Libano, il Paese in cui Caland nacque e morì, occupa in questa narrazione, perché mancano le opere che più intensamente ne attestano l’importanza, ha spiegato la curatrice per concludere l’argomento affermando, che ancora una volta, le uniche opere che si possono mostrare al pubblico europeo sono quelle che si trovavano già in Europa o in Nord America. I canoni non sono fenomeni naturali, sono forgiati dall’economia, dal potere e, in questo caso, dalla guerra». Anche se la maggioranza delle opere assenti sono riprodotte nel catalogo, in alcuni casi non è stato neanche possibile scattare fotografie perché l’invasione di Israele non ha permesso di accedere alle collezioni. «È il caso del disegno che dà titolo alla mostra, “Une vie en quelques lignes” (Una vita in poche linee, 1992), il cui sottotitolo, “Un grande amore in poche parole”, illustra perfettamente lo spirito dell’arte di Caland, impregnata di amore per la famiglia, gli amici, gli amanti e la sua comunità», continua Feldman.
Secondo Manuel Segade, direttore del Museo Reina Sofía, «nel suo approccio al lavoro dell’artista, caratterizzato dalla molteplicità di linguaggi, sia scritti sia plastici, e dal dialogo costante tra astrazione e figurazione, riflessione ed esperienza, questa mostra tiene conto delle trasformazioni e delle derive della sua pratica in relazione ai diversi contesti geografici e culturali in cui ha vissuto, così come alla sua esperienza migratoria o al suo status di artista donna e figlia di Bechara El Khoury, primo presidente del Libano dopo l’indipendenza del Paese».
La rassegna si sviluppa cronologicamente, tornando più volte al passato e scoprendo progressivamente le diverse fasi artistiche e personali di Caland. II percorso, che inizia e finisce a Beirut, transita dagli anni tumultuosi del Libano, dopo l’indipendenza prima della guerra civile, al liberalismo utopico di Parigi negli anni Settanta e Ottanta, fino alla decadenza bohémien della scena artistica di Los Angeles negli anni Novanta e il ritorno in Libano alla fine della sua vita. «Nel 1969 fondò Inaash, una Ong che ancora oggi continua ad aiutare le donne palestinesi nei campi profughi libanesi a trarre profitto dal ricamo tradizionale, chiamato tatreez, che, insieme ad altre forme di ricamo, è presente in molte delle sue opere», ricorda la curatrice. Sono opere enigmatiche ed eterodosse, caratterizzate dall’ambivalenza, dall’esplorazione e dalla liberazione del corpo femminile, ma anche dall’entusiasmo vitale, dalla resilienza, dall’animo ribelle e dallo stile di vita cosmopolita dell’artista. Opere poliedriche che stupiscono con la loro bellezza malinconica e lasciano una traccia indimenticabile.
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Huguette Caland, «Le Grand Bleu», 2012, collezione privata. Foto © cortesia di Huguette Caland Estate