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Un’opera di Mika Ninagawa

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Un’opera di Mika Ninagawa

Anonymous art project sbarca in Laguna

A maggio, il progetto del filantropo e imprenditore giapponese Hiroyuki Maki inaugura a Venezia due mostre per promuovere anche in Europa l’arte contemporanea del suo Paese

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Con due mostre a Venezia promosse in occasione della 19ma Biennale Architettura, una nel Museo archeologico nazionale in piazzetta San Marco, l’altra nel non lontano Palazzo Bollani, debutta in Europa anonymous art project, innovativo progetto avviato nel 2023 dall’imprenditore e filantropo giapponese Hiroyuki Maki a sostegno dell’arte contemporanea del suo Paese. Il fondatore ha scelto Venezia perché «grazie alla Biennale, è un luogo centrale per l’arte del nostro tempo» ma ci anticipa che stanno avviandosi contatti anche con Torino, altra capitale italiana del contemporaneo.

Per la sua mostra «Lines by Kengo Kito», nel Museo archeologico nazionale (piazzetta San Marco, dal 6 maggio al 28 settembre, a cura di Masahiko Haito), l’artista ha ideato un’installazione site specific nel cortile cinquecentesco detto «dell’Agrippa». Con essa il Museo festeggia la riapertura del proprio accesso indipendente, di fronte a Palazzo Ducale. Come ci spiega il curatore, «è un progetto pensato espressamente per connettersi con le linee verticali dell’architettura tardo-rinascimentale del museo e con le opere delle sue collezioni. Nel cortile si vedrà un’installazione spettacolare di bacchette di cinque diversi colori ma la mostra si estende alla Sala V del Museo, anche qui in connessione con l’architettura».

Di segno diverso il progetto «Mika Ninagawa with EiM: Interstice», in Palazzo Bollani dal 10 maggio al 21 luglio, a cura di Eriko Kimura: «uno spazio più neutrale questo, ci spiega Masahiko Haito, a nome della collega, in cui viene presentata per la prima volta in Europa una personale di Mika Ninagawa (Tokyo, 1972, Ndr), una delle fotografe e registe più influenti della scena contemporanea giapponese, che intreccia nei suoi lavori natura e artificio». Insieme al collettivo EiM (Eternity in a Moment), di cui fa parte, l’artista ha creato per Venezia un’installazione immersiva caratterizzata dai suoi colori vividi, saturi e brillanti, fortemente emozionali, che traducono in un’estetica pop simboli tradizionali della sua cultura.

Ma questa non è che la più recente delle iniziative di anonymous art project, che ha donato oltre 220 opere di artisti giapponesi di oggi a 25 musei pubblici nazionali, ha promosso viaggi di studio all’estero per 55 tra curatori, artisti, galleristi e collezionisti in città chiave del panorama artistico internazionale come Hong Kong, Venezia e Basilea, ha organizzato tre edizioni di concorsi per giovani artisti e 43 mostre tra Tokyo e Nagoya, e ha promosso numerosi eventi di beneficenza. Ne parliamo con il fondatore, Hiroyuki Maki, 45 anni, giovane e brillante mecenate dalla storia personale e familiare affascinante.

Signor Hiroyuki Maki, lei è un imprenditore. Ci può dire se si tratta di una tradizione della sua famiglia e in quale ambito opera principalmente?
Già mio nonno era un imprenditore di successo nell’ambito del food. Dei suoi dieci figli, mio padre era il sesto, e anche lui è stato imprenditore, ma nell’informatica. La nostra famiglia è composta da 25 cugini e 20 zii, con rapporti molto conflittuali. Alla scomparsa di mio padre, che era il presidente dei business di famiglia, li ho rilevati tutti e per dieci anni, fino a 33 anni, ho fatto l’imprenditore. Quando mio padre è morto ha donato quasi tutto il suo patrimonio in beneficenza, lui nell’ambito dell’istruzione e mia madre nella sanità. La sua filosofia era infatti che fare business significasse essere responsabili verso la società e anch’io intendo seguire la stessa linea, destinando il frutto del mio lavoro alla collettività. In Giappone esiste un detto molto conosciuto: «Non lasciare ai figli i bei campi coltivati». È una regola non scritta che mio padre ha applicato e che io applico a mia volta.

Lei ha scelto l’arte contemporanea: è un collezionista?  
Ho scelto questa via, che mi affascina, ma non sono collezionista; compro per donare a musei e istituzioni e opero per formare curatori.

Come funziona il sistema dell’arte contemporanea in Giappone?
Da noi il settore del contemporaneo non è molto forte. I musei di sola arte contemporanea sono pochi ma ora alcuni grandi musei stanno aprendosi anche all’arte di oggi. Stiamo attraversando un momento di transizione e penso che nel giro di cinque anni molto cambierà.

Con anonymous art project lei ha portato delle delegazioni del mondo dell’arte giapponese in Biennale a Venezia, ad Art Basel e ad Art Basel Hong Kong. In precedenza i contatti con il mondo dell’arte occidentale erano rari?  
Una certa difficoltà permane anche nel presente ma c’è una ragione: i curatori giapponesi sono in prevalenza dipendenti di musei pubblici e non possono assentarsi dal lavoro né permettersi costose trasferte. È qui che ho pensato di intervenire.

In Giappone esistono gallerie influenti di arte contemporanea?
Ci sono, ma il sistema è diverso da quello occidentale perché mentre in Europa e negli Stati Uniti le gallerie si occupano degli archivi degli artisti e sono in contatto con i musei, in Giappone la grande maggioranza si limita a fare mercato. Sono pochissime al momento, quelle che operano come in Occidente.  

Come ha scelto i due artisti per le mostre di Venezia?
Io non contatto direttamente gli artisti ma do il mio supporto ai curatori. È stato un curatore che io stimo molto a sceglierli perché sono artisti importanti per le prossime generazioni. Io mi sono limitato a chiedere che fossero un uomo e una donna, e che avessero circa 50 anni.

I prossimi progetti?
Mi sono laureato all’Università di Kyoto e qui ha appena preso il via una scuola per curatori da me promossa, con due docenti che sono direttori di museo. Il taglio dei corsi è infatti di tipo curatoriale e di economia dell’arte, tanto che la scuola è stata istituita all’interno dell’Mba, la Business School. Vorrei anche organizzare delle mostre perché credo che il luogo ideale per le mostre non sia tanto il museo quanto l’università. Nel giro di cinque anni le università in Giappone cambieranno e poiché io sono committee dell’Università di Kyoto, vorrei dare il mio contributo. Penso infatti che non sarà l’economia a «ingoiare» l’arte, come alcuni temono, ma che sarà piuttosto l’arte a «ingoiare» l’economia. Tengo poi molto ad avviare degli scambi tra curatori giapponesi e italiani. In Italia non l’abbiamo ancora fatto e sono venuto qui per questo. E oltre a Venezia ho intenzione di avviare rapporti con Torino, in particolare con la Pinacoteca Agnelli (mi interessa molto anche la riconversione di un sito industriale in sede espositiva) e con il Castello di Rivoli. 

Una veduta dell’installazione «Lines», 2024, di Kengo Kito ad Art Düsseldorf

Ada Masoero, 17 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

Anonymous art project sbarca in Laguna | Ada Masoero

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