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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliLa capitale francese non si accontenta più di essere il ricordo romantico delle avanguardie storiche e degli «Années folles». Con la quarta edizione di Art Basel Paris, si conferma infatti imprescindibile centro dell’arte contemporanea. «Sono poche le città in cui la cultura occupa un posto così importante nella vita delle persone come a Parigi. La permeabilità tra le discipline creative, dalla moda all’arte, dal cinema alla letteratura, è anche una caratteristica fondamentale delle sue dinamiche culturali. L’eredità di Parigi, dall’Impressionismo al Surrealismo e al pensiero postmoderno francese, continua a prosperare, ispirare e plasmare le correnti artistiche globali. Oggi, il suo patrimonio e il suo spirito d’avanguardia sono amplificati da un ecosistema resiliente di gallerie, istituzioni, collezionisti e voci emergenti, che rendono Parigi una capitale imperdibile per l’arte contemporanea», dichiara a «Il Giornale dell’Arte» Clément Delépine, direttore della fiera.
Dopo il ritorno al Grand Palais nel 2024, la rassegna, che si svolge dal 24 al 26 ottobre (il 23 pomeriggio vernissage aperto al pubblico), punta ancora più in alto: 206 gallerie da 41 Paesi, un tessuto culturale cittadino mobilitato in ogni suo nodo e tre sezioni espositive che promettono esperienze artistiche inedite.
Nella location «delle grandi occasioni», simbolo della Belle Époque e oggi crocevia di avanguardia e patrimonio, oltre un terzo delle realtà partecipanti hanno sedi nella Ville Lumière, segno di un ecosistema artistico locale capace di dettare le regole. Ad Art Basel Paris debuttano 29 spazi, in una geografia che si allarga oltre Europa e Stati Uniti, per includere voci disparate provenienti da Africa, Asia, America Latina.
Che cosa significa portarle in questo contesto europeo? Il direttore non ha dubbi: «Permette ad Art Basel Paris di riflettere la natura veramente globale dell’arte contemporanea. Presentando artisti con prospettive, pratiche e riferimenti culturali diversi, sfidiamo le narrazioni eurocentriche, promuoviamo il dialogo interculturale e creiamo opportunità di innovazione e sperimentazione, rafforzando Art Basel Paris come piattaforma di scoperta, dialogo e creatività». Tra i nuovi arrivati, nomi come Crèvecœur (Parigi), Blindspot (Hong Kong), The Approach (London), Stevenson (Amsterdam, Città del Capo), Voloshyn Gallery (Kyiv, Miami) e Château Shatto (Los Angeles). Accanto a questi, naturalmente, non mancano i pilastri del mercato, da Hauser & Wirth a Gagosian, da Pace Gallery a Perrotin e Continua. Il percorso al Grand Palais si divide in tre sezioni: Galeries, Emergence e Premise, tre visioni complementari che riflettono sul tempo, la storia e la contemporaneità.
Con 180 gallerie, il settore principale, Galeries, ospita i protagonisti dell’arte moderna, postbellica e contemporanea. Tra i partecipanti, spazi storici come David Nolan Gallery (New York) e Vedovi Gallery (Bruxelles), insieme a presenze più sperimentali come Carlos/Ishikawa (Londra) o Galerie Cécile Fakhoury (Abidjan, Dakar, Parigi). Inoltre 7 gallerie che avevano esordito all’interno di Emergence, approdano a Galeries. Tra queste: Christian Andersen (Copenaghen), Fanta-MLN (Milano), Nicoletti (Londra) e Dawid Radziszewski (Varsavia).

Dadamaino, «Volume», 1960, Frittelli Arte Contemporanea. Courtesy of the artist and Frittelli Arte Contemporanea, Florence, and Archivio Dadamaino, Somma Lombardo
Ospitato sui balconi superiori del Grand Palais, Emergence è la divisione dedicata agli artisti emergenti. I 16 stand qui allestiti con mostre personali, di cui 8 di nuovi espositori, portano alla luce lavori visionari, di forte impatto politico ed estetico: Sweetwater (Berlino) con un’installazione site specific di Alexandre Khondji; Drei (Colonia) con specchi e superfici ambigue dell’artista tedesca Mira Mann; Blindspot (Hong Kong) con erotismi su carta di Xiyadie, artista tradizionale cinese; Gauli Zitter (Bruxelles) con le nuove sculture del francese Ethan Assouline, per citarne qualcuno. Continuando con Premise, sezione introdotta nel 2024, ci si imbatte in pratiche storiche, trasversali o poco canoniche. «Anche se non siamo un museo, ritengo che abbiamo una responsabilità istituzionale nel mondo dell’arte. Parte di tale responsabilità consiste nel contribuire ad ampliare i confini del canone storico artistico: il nostro settore Premise, dedicato a proposte curatoriali altamente singolari che possono includere opere realizzate prima del 1900, è stato creato proprio per questo motivo. Le opere qua presentate sono in sintonia con i progetti di Emergence, dedicato alle presentazioni personali di artisti in ascesa. Proponendo opere storiche ed emergenti a stretto contatto, la fiera consente di tracciare influenze, riconoscere dissonanze e osservare l’evoluzione del linguaggio artistico nel tempo», spiega Delépine. Sono una decina le gallerie che si misurano in quest’area, tra cui anche l’italiana Frittelli arte contemporanea (Firenze) con una mostra dedicata a Dadamaino e alla serie «Volumi». Inoltre, Château Shatto (Los Angeles) che mette in dialogo Emily Kam Kngwarray con Alan Lynch, Pauline Pavec (Parigi) che propone rare tele impressioniste di Marie Bracquemont (1840-1916), The Gallery of Everything (Londra) con i dipinti visionari dell’haitiano Hector Hyppolite e la Galerie Eric Mouchet (Parigi, Bruxelles) che presenta un omaggio a Ella Bergmann-Michel (1896–1971), figura ancora troppo poco riconosciuta della scena d'avanguardia del XX secolo. Tra le rare presenze femminili nei primi anni del Bauhaus, l’artista tedesca si distinse per una pratica radicalmente sperimentale, che attraversava fotografia, cinema e collage.
Tra venerdì 24 e sabato 25 ottobre torna l’iniziativa «Oh La La!», che incoraggia riallestimenti creativi e non convenzionali. «Il tema curatoriale di “Oh La La! 2025” è “À la mode” e il documentarista di moda Loïc Prigent è il direttore artistico di questa edizione. In una città rinomata come capitale della moda era naturale per noi creare un progetto che celebrasse il dialogo giocoso tra arte e stile. Le gallerie sono invitate a interpretare il tema con originalità, audacia e umorismo, presentando opere che possano essere suggestive o dirette nel loro approccio al concetto di “À la mode”», racconta ancora il direttore.
Infine, le Conversations, il ciclo di conferenze e dibattiti, si tengono presso il Petit Palais e coinvolgono pensatori, curatori, scrittori e artisti da tutto il mondo. A sostenere il programma pubblico, gratuito per i visitatori di Art Basel Paris, in nove luoghi storici della capitale francese (Palais d’Iéna, Place Vendôme, Cité de l’architecture et du patrimoine, Chapelle des Petits-Augustins des Beaux-Arts de Paris, Petit Palais, Parvis de l’Institut de France, Musée national Eugène-Delacroix, Hôtel de la Marine e Avenue Winston-Churchill) è anche quest’anno la maison di moda Miu Miu. Ma se il Grand Palais è il fulcro dell’evento, l’effetto Art Basel travalica le sue monumentali arcate irradiandosi in una Parigi che si anima ovunque. Per chi vuole cogliere quest’occasione, la settimana della fiera significa infatti poter visitare alcune delle mostre più attese dell’anno.

Anna Maria Maiolino «Na Horizontal (On the Horizontal)», 2014, Galleria Raffaella Cortese. Courtesy of the artist and Galleria Raffaella Cortese, Milan and Albisola. Photo: Lorenzo Palmieri
Al Musée d’Orsay si esplorano le eleganti pennellate dell’americano John Singer Sargent assieme alla scultura di Paul Troubetzkoy e all’affascinante binomio Bridget Riley-Georges Seurat. Il Louvre accoglie un’imponente retrospettiva di Jacques-Louis David, mentre al Musée de l’Orangerie spiccano «Michel Paysant. Vedere Monet» e «Berthe Weill. Gallerista dell’Avanguardia parigina». Il Palais de Tokyo propone un programma vibrante e sperimentale con «American Season», «Da qualche parte nella notte la gente danza» di Raphaël Barontini e «Gioia collettiva-Imparare a brillare!». Al Musée Picasso si affiancano «Philip Guston: L’ironia della storia» e le visioni taglienti di Raymond Pettibon. Il Musée d’Art Moderne ospita, tra le altre, «George Condo», le installazioni emblematiche, ma anche le fotografie e i disegni, di Otobong Nkanga nella monografica «I dreamt of you in colours», oltre all’allestimento dei finalisti del «Prix Marcel Duchamp». Alla Fondation Louis Vuitton, protagonista è la retrospettiva dedicata a Gerhard Richter (cfr. articolo a p. 82), mentre il Jeu de Paume dedica un’intensa personale al fotografo Luc Delahaye. La Fondation Cartier inaugura il suo nuovo spazio espositivo con una mostra di grande respiro (cfr. p. 34) mentre la fondazione Lafayette Anticipations, che dal prossimo 17 novembre, dopo che avrà portato a termine Art Basel Paris, si fregerà proprio della direzione di Delépine, offre due personali al femminile, di Meriem Bennani e di Steffani Jemison.
Alla Bourse de Commerce domina il rigore concettuale di «Minimal» mentre al Musée du Luxembourg trova spazio «Pierre Soulages. Peintures sur papier», solo per citare le più importanti esposizioni. Insomma, chi si trova in città non avrà di che annoiarsi. D’altronde, conclude Delépine, «la cultura è una componente costante e autosufficiente della vita parigina: non passa giorno senza che ci sia una nuova prima teatrale, l’inaugurazione di un’esposizione, un film d’autore di cui si discute animatamente alla radio, un concerto stellare o un cabaret alternativo che invade un luogo inaspettato. Sfruttando e sostenendo questa dinamica, la città promuove relazioni durature e un dialogo continuo tra figure creative e pubblico. In questo contesto, Art Basel Paris funge da catalizzatore, stimolando collaborazioni che offrono qualcosa di nuovo. La nostra mostra dà vita a tutto questo, attivando i luoghi storici della città, dal Grand Palais alla Cité de l’Architecture et du Patrimoine (nell’ambito del programma pubblico, la Galerie Lelong e Waddington Custot presentano qua la personale di Fabienne Verdier mentre Yares Art una collettiva di importanti artisti astratti, Ndr), per un’esperienza multiforme dell’arte moderna e contemporanea».
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