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Lo stand della galleria Templon di Parigi ad Art Genève

Cortesia di Templon, Parigi

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Lo stand della galleria Templon di Parigi ad Art Genève

Cortesia di Templon, Parigi

Art Genève: un diamante contemporaneo a Ginevra

Per quanto contenuta, l’elegante fiera svizzera non si smentisce per selezione, opere proposte e ospitalità, tutto in linea con la proverbiale attitudine svizzera

Matteo Bergamini

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Non è che ci si possa aspettare il punk, in Svizzera, ma una certa classe assolutamente sì. E infatti la piccola Art Genève, alla sua 13ma edizione (fino al prossimo 2 febbraio al Palaexpo di Ginevra) è un’ottima miniatura di quello che di meglio ci si può aspettare da una fiera d’arte contemporanea....Ma che cosa ci si aspetterà mai da una fiera? La parola d’ordine è, sempre, qualità. Qualità dell’offerta in fatto di opere d’arte, ma anche qualità dei servizi, ovvero facilità d’accesso alle strutture, ospitalità, chiarezza nelle indicazioni e magari anche un po’ di spazio tra gli stand. Insomma, per dirlo alla francese, già che siamo in zona, un po’ di savoir faire e di savoir vivre.

Il voto complessivo a Ginevra, per tutti queste voci, è sicuramente al di sopra della media anche rispetto alle fiere-mostro che proprio in Svizzera sono nate. Già, perché oltre ai parametri citati, c’è un altro fatto: una fiera contenuta come Art Genève (le gallerie partecipanti sono 80 in tutto) si rivela decisamente più interessante di altre varie colleghe più cool. Sarà merito anche del fatto che non ci sono sezioni prestabilite né padiglioni differenziati: qui tutto è più contemporaneo che moderno e l’unica distinzione tra le partecipanti è rispetto alla quantità degli artisti esposti: solo show o group show, senza perdersi in corridoi specifici o nei mille colori della mappa.

Ora, che cosa c’è tra gli stand della fiera di Ginevra? Non il punk, appunto, ma una infilata di pittura assolutamente splendida, per un parterre di gallerie globali ma che mantengono un forte legame con i loro territori d'origine (la Francia e la Svizzera, appunto) e conseguentemente con i propri artisti. A partire proprio da Eva Presenhuber (Zurigo e Vienna), che ha uno stand quasi monografico dedicato a Ugo Rodinone: sono pitture recentissime, di piccolo formato e tutte portano i toni freddi dell’azzurro e del blu, sintetizzando il tema del paesaggio alpino, lacustre, saturando il cielo svizzero, al quale fanno da contrappunto alcune miniature delle sue celebri stones impilate l’una sull’altra.

«Transcoloration von violett zu rot» (1972) di Max Bill. Cortesia di 10 A.M. ART

Tra i rappresentati dalla storica Templon (nata a Parigi nel 1966) c’è Antoine Roegiers (1980), al limite tra il Surrealismo e il Realismo Magico, raccontando di una serenata per cani al chiaro di una eclissi di sole o di luna, seguendo le orme dei maestri fiamminghi e aggiungendo un pizzico d’irrequietezza attuale. Da Peter Kilchmann (Zurigo), la vincitrice del Prix Oppenheim 2024 Valérie Favre (1959) è in mostra con una piccola tela intitolata «La Habana», Enero 2006, parte della serie «Date Paintings», esposta anche alla Biennale di Venezia nel 2022. Sempre da Kilchmann anche un dittico del giovane Valentin Rilliet (1996) che riflette sull’interculturalità e la reinterpretazione di mitologie, folklore, simbolismi ed eventi storici. Con un tratto quasi fumettistico, sospeso nel tempo e prossimo al realismo della tradizione popolare, l’universo di Rilliet è conturbante quasi quanto gli introspettivi immaginari di Leiko Ikemura, artista svizzera-giapponese (1951) presente nella scuderia della galleria svizzera. Joris van de Moortel, è nato invece nel 1983 in Belgio, ed è rappresentato a Ginevra da Nathalie Obadia (Parigi, Bruxelles). La sua pittura «The lire of ur·pheus», 2023, a sua volta è ispirata ai maestri fiamminghi, ma prende dalla nostra epoca la vibrazione acida di un racconto che sembra liquefarsi in un paesaggio figlio di una visione di  Hieronymus Bosch. 

Tra le gallerie extraeuropee che rappresentano artisti di ogni nazionalità, da Michelangelo Pistoletto a Joana Vasconcelos, c’è anche Tang (Pechino, Hong Kong, Bangkok, Seoul e Singapore), con una grande tela dell’artista cinese Yue Minjun (1963) diventato celeberrimo per i suoi uomini dal sorriso spalancato, già collezionati dagli anni '90 anche dal mitico Uli Sigg. Altra degna di nota è la parigina Semiose, che schiera l’artista Xie Lei (nato in Cina nel 1983, ma di casa a Parigi dal 2006) che è anche tra gli artisti selezionati per il Prix Marcel Duchamp 2025. In questo caso la tela intitolata «Protection III», 2024, mantiene un tono fantasmatico attraverso una pennellata quasi selvaggia, una cascata gelata di verde e blu. Dall’altra parte del Palaexpo c’è lo stand di Ars Belga, società di consulenza basata a Bruxelles dal 2009, che presenta una selezione di opere assolutamente eterogenee e originali, mescolando Chico da Silva, Salvo e Lorenzatto: due maestri brasiliani e un maestro italiano sull’onda di una riscoperta profonda, nonostante il mercato non li abbia mai trascurati. Una mostra strategica è quella sferrata da 10 A.M. ART di Milano: in uno spazio diviso tra opere di Mario Ballocco, Sandro De Alexandris, di cui è in vaglio la trattativa di un’installazione con il Mamco di Ginevra (proprio lo scorso anno il museo comprò dalla galleria milanese diverse opere di Lucia Di Luciano), e Luigi Veronesi, spicca una chicca rara, per formato e qualità, del poliedrico Max Bill, architetto, artista e designer svizzero.

Lo stand della galleria Mennour di Parigi ad Art Genève. Cortesia di Mennour

Altro? Certamente, e si va sul sicuro: Mennour (Parigi) propone Alicia Kwade, Anish Kapoor, Sidival Fila e, a sua volta Ugo Rondinone, mentre i vicini Hauser & Wirth (Londra, Zurigo, Basilea, New York, Hong Kong e Minorca) sbandierano Louise Bourgeois, William Kentridge, Eva Hess e anche un bellissimo e piccolo dipinto (33x22 cm) con forme-onde in sicofoil su tempera bianca di Carla Accardi, («Bianco», 1967). Sbanca tutto Van de Weghe (New York) con Pablo Picasso, «Nude alongée et buste d’homme» del 1964. In compagnia del maestro, ci sono anche Carl Andre, Christo, Jean Dubuffet e Andy Warhol e un ben curioso Jean-Michel Basquiat del 1982, quasi in bianco e nero e senza titolo, che potrebbe essere identificato come «My Boyfriend Married a Girl» per via di questa unica asserzione, nera su giallo, nella tipica calligrafia di Samo.

E se gli echi del Surrealismo, seppur in gran spolvero, si fanno sentire nella pittura dei più giovani, ad Art Genève c'è spazio anche per un po’ di riscoperte e un po' di attenzione agli artisti popolari o periferici: splendido esempio è il dialogo che la parigina Magnin A, stand D27, offre attraverso tre bellissime sculture di Seni Awa Kamara (esposte anche recentemente da Gomide & Co. a San Paolo, in dialogo con il pittore rumeno-brasiliano Nicolai Dragos) con le pitture di Amadou Sanogo, dalle forme naif e notturne. E ottime riscoperte anche per due gallerie italiane, che fanno parte dei solo show: Richard Saltoun (Roma, Londra, New York) e Studio Gariboldi (Milano). Baya Mahieddine (1931-1998), una delle più influenti artiste algerine che fu anche musa di Picasso (amata tanto da Cecilia Alemani quanto da Adriano Pedrosa, che l’hanno inserita nelle loro Biennali, nel 2022 e 2024) è la punta di diamante di Saltoun, mentre le piccole sculture geometriche della giapponese Aiko Miyawaki(1929-2014), già compagna dell'architetto Arata Isozaki e compagna di viaggio di Piero Manzoni e Lucio Fontana, Man Ray e Sam Francis, è esposta da Gariboldi in uno stand assolutamente essenziale e luminoso. Come lo è questa fiera, anche a giudicare dai sorrisi dei molti galleristi che, seguendo tradizioni antiche, già dal primo pomeriggio avevano affisso più di un bollino rosso alle pareti. E come vuole il detto, la fiera si fa prima di cominciare.

 

Matteo Bergamini, 30 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

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