Nicola Zanella
Leggi i suoi articoliLe collezioni aziendali nascono innanzitutto dalla lungimirante passione di imprenditori illuminati, che sempre più spesso decidono di condividere il proprio amore per l’arte non solo con i dipendenti della propria azienda, ma con l’intera comunità di riferimento. Per fare questo però ci sono molti aspetti da tenere in considerazione, ciascuno ambito di una molteplicità di figure professionali capaci di fare di un nucleo di opere d’arte un patrimonio per la collettività. Vi presentiamo qui alcuni di questi aspetti attraverso le voci di alcuni tra i più esperti professionisti del settore cui gli imprenditori affidano le proprie visioni.
Il vuoto legislativo
di Virginia Montani Tesei
Socio fondatore dello Studio legale Montani Tesei, esperta di Diritto dell’arte e beni culturali
Il collezionismo d’impresa nasce dalla passione per l’arte dell’imprenditore, che consapevolmente decide di portare l’arte in azienda migrando lo status di collezio- nista dal soggetto fisico all’impresa. La collezione d’impresa non è paragonabile a nessun altro tipo di investimento ordinario, in quanto alla sua base ci sono opere rare, uniche e che spesso sono testimonianza della stessa storia dell’azienda e del suo fondatore. Oggi le collezioni d’impresa sono diventate uno strumento più che valido per sostenere le modalità di fare impresa rappresentando altresì un forte elemento di identità societaria che ne rafforza il posizionamento sul mercato e ne svi- luppa la brand identity. Tuttavia vien da chiedere come il legislatore si è relazionato nei confronti del collezionismo di impresa. Ad oggi all’interno del D.Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) non c’è alcuna definizione di collezionismo di impresa o Corporate Art Collection, pertanto questa fattispecie agli occhi del legislatore non esiste e non gode di alcuna tutela specifica. Questa lacuna normativa, dai tratti anacronistici, fa sì che un’azienda che investe in arte e organizza progetti con l’arte dovrà comportarsi come un collezionista persona fisica, osservando le disposizioni normative del D.lgs. 42/2004 e della Legge sul Diritto d’autore (L. 22 aprile 1941 n. 663), tra cui, se applicabili, le disposizioni in materia di dichiarazione di interesse culturale, vincolo di collezione e circolazione delle opere, oltre alla gestione dei diritti d’autore dell’opera d’arte in collezione. Ferma restando la necessità di un immediato intervento legislativo a tutela delle imprese collezioniste, riflettiamo su quali sono oggi le modalità operative che l’impresa collezionista dovrebbe seguire per tutelare al meglio la propria collezione e trarne, se possibile, dei vantaggi, e non parleremo della collezione come asset finanziario della società poiché è inclusa nel patrimonio aziendale. I vantaggi che un’impresa ha nel costituire una sua collezione sono molti, dal creare un’ambiente di lavoro migliore al condividere con i terzi la collezione, ma uno su tutti è la creazione all’interno degli spazi della società di un museo privato che, in maniera permanente, consolidi il rapporto di fruizione culturale tra privato e pubblico, tra territorio e impresa. Negli anni molte imprese che hanno sentito questa necessità hanno costituito una Fondazione a cui destinare l’onore di occuparsi della collezione aziendale, di organizzare progetti culturali, di divenire quindi un polo culturale, spogliando, di fatto, l’impresa di questo ruolo. Queste scelte venivano e vengono adottate per molte ragioni, una su tutte l’assenza di una normativa, anche fiscale, che permetta di affidare all’impresa il ruolo di polo culturale. Tuttavia molte imprese che possiedono una collezione hanno deciso, supportandone interamente i costi, di costituire un museo aperto al pubblico all’interno della propria azienda. Un museo «è un’istituzione permanente, senza
scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo aperta al pubblico che compie ricerche sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione e di diletto», questa è la definizione di museo secondo il Decreto Mibact del 10 maggio 2001 che ricalca la definizione dell’Icom (International Council of Museums) e dell’art. 101 del D.lgs. 42/2004. La scelta di aprire un museo in azienda, quindi, dona al collezionista (impresa) l’autonomia di definire le «linee guida» e la mission del proprio museo, predisporre un calendario delle mostre e stabilire le modalità di fruizione delle stesse, ossia lasciare un’impronta della propria sensibilità artistica e aziendale nel panorama nazionale e internazionale. Dunque, se da una parte l’apertura di un museo all’interno dell’azienda costituisce l’epifania per la maggior parte delle imprese, consacrandole quale polo culturale oltre che polo economico, dall’altra costituisce un costo molto alto per le imprese il cui oggetto sociale non è collezionare, bensì la crescita dell’azienda e il dovere di garantire un luogo sano e un welfare ai lavoratori. Cosa dovremmo sperare dal Legi- slatore? Per prima cosa si auspica che le collezioni di impresa si vedano riconosciute come fattispecie tipica e, di conseguenza, si definisca un impianto normativo volto a garantire il ruolo di polo culturale all’impresa, prevedendo delle normative fiscali a sostegno. Non vi è dubbio che per creare un impianto normativo virtuoso si dovranno ripensare, dandone un carattere eccezionale, molti degli istituti pre- senti all’interno del D.lgs. 42/2004, oltre a una gestione differente del diritto d’autore per la gestione delle opere d’arte della collezione d’impresa. Un esempio su tutti si individua nella riduzione della possibilità della notifica del decreto di interesse culturale (ex art. 13 e ss D.lgs. 42/2004) delle collezioni aziendali limitatamente a pochi eventi di natura patologica, come potrebbe essere il fallimento. Difatti, l’istituto del vincolo se applicato a una collezione d’impresa, oltre a costituire un danno al patrimonio dell’impresa, vanificherebbe il lavoro e gli sforzi dell’impresa di rendere dinamica e quindi an- che contemporanea la collezione. Ad oggi non ci resta quindi che attendere che il legislatore prenda coscienza dell’importanza delle collezioni di impresa e del loro ruolo all’interno dell’offerta culturale del Paese, riconoscendo in capo all’impresa un ruolo culturale di primaria importanza e la conseguente, ma non scontata, legittimazione della loro esistenza e la creazione di un tessuto normativo di sostegno.
Investire in arte
di Emilio Bordoli
Dottore Commercialista e collezionista d’arte
Mi occupo di società e di gruppi aziendali da molti anni, con immutato entusiasmo. Amo condividere la passione e la tenacia dei miei clienti nei loro progetti imprenditoriali. Sono anche un appassionato collezionista di arte contemporanea e inevitabilmente vivo con particolare attenzione tutte le dinamiche connesse con gli investimenti in questo ambito.
Prima questione: è lecito per una società commerciale investire in opere d’arte? Sicuramente sì! È una legittima forma di investimento di capitali che contribuisce a rafforzare la struttura patrimoniale all’attivo del bilancio. L’arte è un bene durevole e meritevole di attenzione per un investitore, complementare, se non alternativo, ai prodotti finanziario agli immobili. Come tale, l’imprenditore è nel suo pieno diritto di sceglierlo come destinazione e impiego della propria liquidità aziendale. Dal punto di vista fiscale (imposizione diretta, in particolare), ritengo non opportuno dedurre alcunché dal reddito imponibile dell’azienda a titolo di ammortamento del costo delle opere acquistate. Non si possono considerare «beni materiali strumentali per l’esercizio dell’impresa» ai sensi dell’art. 102 del TUIR, in quanto svolgono funzioni diverse rispetto alla produzione del reddito.
Tali funzioni sono comunque assai rilevanti, e precisamente, l’arte in azienda:
• comunica uno status imprenditoriale di stile, cultura, prosperità e bellezza;
• costituisce una modalità di marketing emozionale molto efficace nei confronti del pubblico;
• genera un ambiente di lavoro più stimolante, piacevole ed efficace per le persone impiegate in azienda;
• fornisce una garanzia di solidità finanziaria futura, ben apprezzata da fornitori e banche in quanto diversificata rispetto alle forme tradizionali di investimento (Borsa, immobili, materie prime).
Dal punto di vista formale, trattandosi principalmente di società di capitali (S.p.A. o S.r.l.) consiglio sempre ai miei clienti di dedicare al progetto di Corporate collection una apposita seduta del Consiglio di Amministrazione, in modo che dalla deliberazione verbalizzata risultino le finalità, le modalità, la tempistica e la dotazione finanziaria dell’iniziativa.
Gestire la collezione
di Giulia Tosetti
Fondatrice e Amministratrice Delegata di Emblème
Ciò che credo renda affascinante il nostro lavoro è contribuire a costruire una «cultura della collezione», ovvero approcciare l’insieme dei beni che ci troviamo a ordinare e gestire secondo quel complesso di attenzioni e linee guida che regolano la cura, la messa a sistema e la valorizzazione delle collezioni, insiemi di beni predisposti per diventare un dispositivo armonico di conoscenza, in grado di trasmettere valori e contenuti. Così, una delle priorità che si presentano a chi raccoglie o ricostruisce i dati relativi a ogni bene è la progressiva riduzione della frammentarietà delle informazioni, volta a creare correlazioni specifiche tra oggetti, proprietari e contenuti. Questo approccio assume ulteriore utilità quando, come spesso accade nel privato, si opera su insiemi eterogenei di beni, magari tramandati nei vari passaggi generazionali. Ogni progetto di catalogazione e archiviazione di collezioni, sia corporate sia istituzionali sia private, porta con sé obiettivi peculiari e distinti. Esiste tuttavia sempre una traccia, alcuni punti cardine che ritengo imprescindibili per accrescere il valore tangibile e intangibile delle collezioni, e per la tutela di chi le custodisce. Questi sono principalmente cinque e costituiscono una sorta di minimo comun denominatore, che prescinde dalla specificità dei singoli progetti.
• Un’accurata mappatura fisica degli oggetti che includa una loro puntuale catalogazione.
• Il perseguimento di una due diligence documentale per la ricostruzione esatta e completa delle informazioni di ciascun bene.
• Il monitoraggio conservativo, per una manutenzione ordinaria e straordinaria della collezione, che permette, oltre alla gestione di attività periodiche, un controllo specifico iniziale sulle condizioni di conservazione, con l’introduzione di eventuali azioni correttive immediate sulle strategie di esposizione o imballaggio.
• La restituzione della collezione come un unicum interconnesso, per un patrimonio misurabile e trasmissibile.
• L’opportunità di dispensare chi detenga la custodia della collezione dagli oneri della sua gestione, per concentrarsi appieno sulle scelte strategiche conseguenti e sulla fruizione.
Con questa visione generale è nata Emblème, società rivolta a privati, aziende e istituzioni, che cura e gestisce collezioni, patrimoni di passione e di memoria, con un metodo volto a restituire la componente identitaria e valoriale di chi le detiene. Alla base del lavoro vi è l’idea di porre l’oggetto, con i suoi dati fisici e intangibili, al centro di una mappa di relazioni che congiuntamente concorrono a restituire una vera e propria storia della collezione. Per questo abbiamo messo a punto un nostro metodo per catalogare, archiviare, valorizzare e raccontare nuclei omogenei o eterogenei di beni, nel caso del privato, nella più vincolante riservatezza. Come parte di questo metodo vi è stata la creazione di un team diversificato per disporre, in maniera efficiente, di maggiori competenze e capacità di gestione dei dati, anche quando numericamente molto rilevanti, come più frequentemente accade in caso di società o istituzioni. Per ogni progetto viene così definito un gruppo ad hoc, guidato da un unico responsabile, che può mettere a disposizione una rete professionale selezionata in base alle necessità, oppure interfacciarsi e collaborare con i professionisti già coinvolti nella collezione. È parte degli strumenti di Emblème, oltre alla rete di professionisti, anche la collaborazione costante con figure come fotografi e conservatori specializzati; così come il Caveau Digitale, una piattaforma proprietaria ad accesso riservato che riunisce in un unico luogo ogni aspetto della vita dell’opera o dell’oggetto censito e della collezione nel suo insieme e che permette di creare narrazioni, percorsi trasversali e nuove letture approfondite. Credo infatti che costruire la memoria di una collezione sia parte fondante del lavoro di chi gestisce collezioni: non è solo tenere traccia delle informazioni, dei dati scientifici e fisici legati a un oggetto o a un’opera d’arte, o la ricostruzione meticolosa di questi ove mancanti. È qualcosa di più intimo: è la ricerca e la narrazione della morfologia di una collezione, di quell’insieme di circostanze, di storie, di motivazioni e di dati storico-critici che nel loro insieme concorrono a definire l’identità di chi l’ha creata. Questa costruzione di memoria e di racconto, che sia di un collezionista, di una famiglia, di una società, che riguardi opere d’arte o altri beni, alla fine si estrinseca sempre in una sorta di linguaggio universale tipico di tutte le collezioni e che è davvero necessario raccogliere e fotografare, così che possa diventare un bene tramandabile, con un archivio digitale o con un libro, un audio, un video racconto o altri strumenti.
Comunicare il progetto
di Paola Caterina Manfredi
Fondatrice e Direttrice di PCM Studio di Milano
La comunicazione gioca oggi un ruolo imprescindibile nello sviluppo delle imprese che agiscono in uno scenario che si fa sempre più complesso e articolato, sempre più formato e ad altissima competizione. L’attivazione di una relazione di autenticità con il mondo dell’arte e della cultura attraverso lo sviluppo di un progetto ben costruito mette l’azienda in relazione con linguaggi e scenari diversi da quelli che abitualmente frequenta e crea inevitabilmente una nuova frontiera di azione, un nuovo campo di intervento in cui la comunicazione ha finalmente la possibilità di esprimere tutto il proprio potenziale strategico, all’esterno e all’interno della propria realtà: costruendo identità, rafforzando il senso di appartenenza, liberando spazi e modalità di relazione inediti, ampliando le frontiere dell’agire aziendale, aprendo la strada a nuove possibilità. La comunicazione di un progetto culturale per una azienda, purché si superi la logica e l’inerzia della pura sponsorizzazione o la volatilità di un intervento estemporaneo o effimero, è di fatto un volano potentissimo di crescita e sviluppo capace di produrre risultati nel tempo. Per essere efficace, però, è fondamentale che il progetto e la sua comunicazione siano coerenti con la radice intima dell’azienda: tutto deve rispecchiare l’identità e i valori che
si vogliono consolidare e trasmettere, e che ogni azione sia coerente e credibile. In sintesi, investire in modo consapevole e strategico in arte e cultura e costruire su questo una strada di comunicazione articolata è per un’impresa contemporanea una azione sostanziale, non di facciata o formale. Non è un «magnifico lusso» o un capriccio dell’imprenditore: l’azienda che sceglie di interpretare la comunicazione in chiave culturale come leva di investimento strategico sceglie di dare impulso a un circuito virtuoso, capace di costruire valore per sé, per il territorio, per la collettività. La relazione tra arte e imprese risponde anche alla domanda su come impiegare il capitale culturale, che non si compone solo di beni «reali» di interesse storico, artistico, paesaggistico, ma che è fatto anche di capitale immateriale, posseduto dai singoli (capitale umano) e dalle imprese, tessuto connettivo del Paese, capace di adattamento, trasformazione e invenzione continua.
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