La 60ma edizione della Biennale d’Arte di Venezia (in calendario dal 20 aprile al 24 novembre) è contraddistinta dal cambio di testimone tra il presidente uscente Roberto Cicutto (che conclude il suo quadriennio) e Pietrangelo Buttafuoco. Un passaggio che Cicutto, nel suo congedo istituzionale, non tralascia di definire in totale collaborazione affinché si mantenga la qualità che questa istituzione merita.
L’esordio della sua presidenza era stato segnato dal difficile momento pandemico al quale la Biennale aveva saputo reagire allestendo coraggiosamente comunque la mostra a cura di Cecilia Alemani «Le Muse inquiete. La Biennale di fronte alla Storia» al Padiglione Centrale ai Giardini. Titolo quantomai profetico se si considera la drammatica successione di quanto di lì a poco sarebbe seguito: dallo scoppio della guerra in Ucraina sino agli accadimenti di Gaza. Così ancora una volta la Biennale si conferma osservatorio privilegiato sul resto del mondo, attraverso il caleidoscopico contributo delle partecipazioni nazionali (quest’anno ben 90) e del suo curatore, Adriano Pedrosa.
Con il titolo «Stranieri Ovunque» Pedrosa propone, in continuità con la precedente edizione di Architettura, un tema in cui ancora una volta le parole chiave sono emigrazione e decolonizzazione. Protagonisti, come già preannunciato, saranno esponenti della cultura queer (tra gli altri, Erica Rutherford, Isaac Chong Wai, Elyla, Violeta Quispe, Louis Fratino, Dean Sameshima, Evelyn Taocheng Wang), a cui lo stesso Pedrosa dichiara di appartenere, gli outsider, il folk, l’indigeno, per un totale di 332 artisti.
Due sostanzialmente i nuclei principali: il Nucleo contemporaneo, allestito negli spazi delle Corderie, con la Sezione speciale Disobedience Archive (progetto di Marco Scotini) e il Nucleo Storico che si sviluppa al Padiglione Centrale ai Giardini e focalizza l’attenzione sull’arte del XX secolo di America Latina, Africa, Medio Oriente e Asia. All’interno del Padiglione Centrale un’ulteriore suddivisione in tre sezioni scandisce il concept curatoriale: «Ritratti» (112 artisti perlopiù rappresentati da sculture e dipinti dal 1905 a 1990; tra gli altri, Selwyn Wilson, Cícero Dias, Yêdamaria, Laura Rodig, Rómulo Rozo, Inji Aflatoun, Grace Salome Kwami, Lee Quede e Gerard Sekoto), «Astrazioni» (37 artisti tra cui Lidy Prati, Sandy Adsett, Fanny Sanín, Etel Adnan, Eduardo Terrazas e Samia Halaby) e «Diaspora artistica italiana del XX secolo» (con 40 artisti che svilupparono la loro carriera in Africa, Asia, America Latina) con una soluzione allestitiva a cavalletto in vetro che riprende quella elaborata da Lina Bo Bardi.
Comune denominatore: la forte presenza di artisti provenienti dal sud del mondo e di matrice indigena (come il collettivo brasiliano Mahku con un murale sulla facciata del Padiglione Centrale e il collettivo Maataho di Aotearoa/Nuova Zelanda alle Corderie), la voluta prevalenza di nomi presenti alla Biennale per la prima volta, la ricorrenza, come modalità espressiva, dell’arte tessile (Dana Awartani, Liz Collins, il collettivo cileno Bordadoras de Isla Negra, Frieda Toranzo-Jaeger, Pacita Abad e Yinka Shonibare).
Quattro le nuove partecipazioni: Repubblica del Benin, Etiopia, Tanzania, Timor Lest, mentre gli eventi collaterali salgono a 30.
Riconfemata la presenza del Padiglione della Santa Sede che quest’anno, con il progetto «Con i miei occhi» (a cura di Chiara Parisi e Bruno Racine),si svolgerà presso la casa di reclusione femminile della Giudecca.
In chiusura che cosa augura, chiediamo al presidente uscente Cicutto, al suo successore?
Di trovare, come ho fatto io, l’entusiasmo nel creare dei progetti, di trovare dei curatori che sappiano rappresentare la contemporaneità perché questo è il nostro compito: quello di sceglierli in maniera appropriata. Gli auguro inoltre di entrare in sintonia con il team, di divertirsi e al tempo stesso di sentire la responsabilità di un’istituzione capace di parlare al mondo.
Cambierebbe il format?
Non cambierei assolutamente nulla. Penso che avere rappresentanti dei padiglioni nazionali sia la vera unicità di questo luogo. La Biennale è un punto di osservazione del mondo attraverso lo stato dell’arte che dice molto anche dello stato della politica, dei bisogni e dei progressi.