Un progetto triennale, raccolto sotto il titolo di «The invention of Europe», e articolato nell’alternanza di una mostra collettiva, che sviluppa di volta in volta un tema geopolitico (la relazione dell’Europa con l’Africa, poi con Abya Yala, cioè l’America del Sud nel nome dei nativi, e infine l’Asia) e una mostra personale, dedicata a un artista che non abbia mai avuto una personale in Italia. È il progetto che porta la firma dei curatori Simone Frangi e Lucrezia Cippitelli e che Kunst Meran Merano Arte ha accolto nei suoi spazi.
Dopo il primo tassello con la mostra «La linea insubrica», dal 16 marzo al 9 giugno è allestita la personale «Aerolectics» di Belinda Kazeem-Kamiński, di origini nigeriane e nata nel 1980 a Vienna, dov’è cresciuta compiendo una complessa formazione accademica. «Gli artisti che scegliamo, spiega Frangi, lavorano in continuità con i binari teorici della mostra collettiva che li precede, con sguardi affini e simili metodologie di lavoro. La mostra dello scorso giugno ruotava intorno all’idea di recuperare identità “afrodiasporiche”, quella di Belinda racconta un pezzo di Europa la cui storia non è solo “bianca”. La linea insubrica, punto di incontro tra la placca africana e quella europea, è qualcosa di reale, ma è anche metafora di una realtà fatta di stratificazioni, come la geologia, che porta a chiedersi come le storie siano state coperte da sedimenti che le hanno rese inaccessibili, inghiottite dagli archivi».
La storia che Belinda Kazeem-Kamiński, con l’aiuto di una ricercatrice, ha fatto riemergere, è quella di tre bambine dimenticate che dalla loro terra sono state portate contro la loro volontà, di fatto deportate, a Brunico, da missionari verso la fine dell’Ottocento. La loro vita, dopo il battesimo e l’imposizione di un nuovo nome, si è svolta solo tra le mura di un monastero, anche per proteggerle dagli sguardi di una comunità che per la prima volta vedeva persone dalla pelle di colore scuro e le toccava come fossero oggetti. Una di loro, in particolare, il cui nome è Asue, viene descritta come un uragano incontenibile. «Attraverso videoinstallazioni immersive, sculture e musica, facendo risuonare tutto l’edificio, si racconta la storia di persone braccate perché viste come caratterizzate da emotività eccedenti, non rispettabili secondo i canoni bianchi. Belinda rende omaggio (ripara) a queste vite sedate, rese invisibili, troncate, tenute a bada, le immagina come potenza vendicatrice», aggiunge il curatore.
Ma se la ricerca e la mostra si basano sul territorio dell’Alto Adige, al terzo piano di Kunst Meran viene restituita la dimensione più ampia di questo fenomeno: sono più di 600 i nomi recuperati di persone che hanno subìto lo stesso destino, collocati su una mappa in tutta la zona germanofona. Domenica 16 marzo Kunst Meran Merano Arte ospita il seminario «Riparare e restituire», sostenuto dal Mic, attorno al tema delle restituzioni dei beni culturali, con la partecipazione di ospiti internazionali come Lotte Arndt, Elvira Dyangani Ose, Raul Moarquech Ferrera-Balanquet, Hannes Obermair, Josien Pieterse e Justin Randolph Thompson. Venerdì 11 aprile è in calendario una serata di musica e performance organizzata in collaborazione con Festival Sonora con Masimba Hwati e Melika Ngombe Kolongo, in arte Nkisi.

Belinda Kazeem-Kamiński, «Respire», 2020