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Bosch a Venezia ci porta nell'aldilà

Lidia Panzeri

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Venezia. Si è inaugurata nel Palazzo Ducale, dove rimarrà aperta fino al 4 giugno, la mostra a cura di Bernard Aikema «Jheronimus Bosch e Venezia», ultima iniziativa in ordine di tempo, dopo s’Hertogenbosch e Madrid, per la ricorrenza dei 500 anni dalla morte dell’artista (1516).
Coprodotta dalla Fondazione Musei Civici (Gabriella Belli) e dalle Gallerie dell’Accademia (Paola Marini) e composta di una cinquantina di pezzi da varie collezioni europee la mostra ruota intorno ai tre capolavori dell'artista che Venezia, unica città italiana, possiede: la pala del «Martirio di santa Ontocommernis (Liberata)» (1495-1505); il trittico dei «Tre Santi Eremiti» coevo alla precedente e le quattro tavole del «Paradiso e Inferno (visioni dell’Aldilà)» del 1505-1515.

Perché Bosch e Venezia? Perché Venezia è la città del cardinale Domenico Grimani che, grazie all’intermediazione dello stampatore ebreo Daniel van Bomberghen, intorno al 1521 riesce a vincere la concorrenza d’oltralpe nell’acquisire queste tre opere. Esigendo di far cancellare le figure degli ex committenti nordici, ai lati delle pala di Santa Liberata, come dimostrano i pentimenti messi in rilievo dalle indagini preliminari al restauro.
Venezia perché qui la cultura rinascimentale (ancora il cardinale Grimani con il suo breviario, capolavoro della miniatura, «sfogliabile» in mostra in formato elettronico) conviveva con l’esoterismo della cabala; i fermenti religiosi, al limite dell’eresia, insieme al gusto del grottesco, quale si ritrova negli animali «mostruosi» della tradizione dei bronzetti padovani o nelle caricature di derivazione leonardesca.
Venezia, infine, perché terra di collezionisti anche per altri ponentini, come Quentin Massys presente in mostra con il suo «Ecce Homo».

Un altro aspetto affrontato dalla rassegna è la fortuna delle opere di Bosch e dei suoi stilemi più frequenti nelle grafiche dei maestri come Pieter Bruegel il Vecchio e il riaffiorare, dopo un periodo di latenza, nel Seicento, dei motivi della sua arte, dal tema onnipresente dell’inferno a quello alchemico, che trova il suo interprete più accreditato in Joseph Heintz il Giovane (1600-1678). Ponentino di nascita, veneziano per vocazione.
E se si desidera provare il brivido di un viaggio tra Paradiso e Inferno basta indossare gli Oculus a disposizione dei visitatori e grazie alla tecnologia immersiva si sarà trascinati in un vortice a imitazione delle «Visioni dell'Aldilà» del pittore di Boscoducale.

Lidia Panzeri, 20 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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