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Bruno Botticelli: «L’Italia ha un collezionismo diffuso che nessun altro ha»

Da gennaio 2022 presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia, l’antiquario fiorentino traccia un bilancio del primo anno di attività e le prospettive future

Michela Moro

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Bruno Botticelli, antiquario fiorentino, è da gennaio 2022 presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia, Aai, che raccoglie 110 gallerie e 140 persone. «Il Giornale dell’Arte» lo ha incontrato per conoscere il bilancio del primo anno di attività e le prospettive future dell’associazione e del mercato antiquariale.

Com’è andato il 2022?
Eravamo arrivati alla fine del 2021 pieni di dubbi e di incertezze, come esseri umani e come antiquari. Ma posso dare risposte positive, sia pure con cambi di prospettive. La gente va ancora alle mostre, più di prima, e più di prima viaggia. Le gallerie sono visitate? Certo, mi fa sorridere quando si parla degli antiquari come se fossero lontani dal comparto delle calzature o delle borse, o come se vivessimo in un altro pianeta. Parlando di botteghe su strada, la fatica che fa qualsiasi negozio con vetrina su strada la facciamo noi.

Qual è lo stato di salute del mercato?
Il mercato sta bene se inteso come grande contenitore: se lei vede il numero di visitatori alla Biennale degli Antiquari a Firenze, o a Flashback a Torino. Certo, in un momento generale di crisi ne siamo investiti come ogni attività industriale che non rientri nel bonus 110%. Il comparto è però interessante; nelle fiere e a Palazzo Corsini, sede della Biennale, è stato un continuo passaggio di persone interessate, curiose, un pubblico di fatto ringiovanito perché agli anziani è rimasto molto di più un senso di precarietà post Covid. La sera della cena a Palazzo Corsini c’erano benestanti di tutto il mondo: dall’India all’America, all’Europa... È stato abbastanza incredibile, al di là dei risultati del singolo.

Come pensa di affrontare con i suoi associati questo futuro incerto?
Prima di tutto un consiglio: rimanere fedeli a un’offerta di qualità, perché la qualità nel tempo paga sempre. Posso prendere qualsiasi anno dei miei quarant’anni di professione e qualche pezzo l’ho sempre venduto, e si parla di pezzi rilevanti. La proposta è di lavorare sul territorio: considero l’Italia un bacino straordinario. Guardando l’asta Allen si vede come in un contesto di arte contemporanea che fa grandi cifre l’antico, che può sembrare meno di moda, come il Canaletto, raggiunge di nuovo grandissime quotazioni. L’Italia ha un collezionismo diffuso che nessun altro Paese ha. Il fenomeno Tefaf Maastricht ha portato tutti a guardare a un mondo internazionale e alle grandi vendite milionarie, ma il mercato nazionale comunque ha dato da vivere a questa categoria per sessantanni, e secondo me continua. Le mostre ed esposizioni internazionali hanno nel board espositori italiani, perché l’Italia esprime molti clienti. Credo che se al mercato dell’arte antica, mondiale non italiana, si tolgono i clienti italiani rimangono i musei americani, ma il mercato va in sofferenza. Magari serve un’Italia più internazionale, che vuole dei quadri con la libera circolazione… L’Italia è molto rilevante nel mercato dell’arte antica. Quando si è pensato di spostare il Tefaf e c’è stato il dubbio che non venissero clienti italiani, tutti erano preoccupati perché la clientela italiana è importantissima. Insisto su questo perché lo considero un tema veramente considerevole.

Alle aste però gli arredi classici fanno meno notizia e risultato di scultura e dipinti.
Il mobile antico ha bisogno di una reinterpretazione, non dev’essere visto in una chiave d’arredo filologica, oggi anacronistica, ma proposto alla stessa stregua degli arredi di design più contemporanei e posto in dialogo con essi.

Bruno Botticelli

Michela Moro, 03 febbraio 2023 | © Riproduzione riservata

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