Flavia Foradini
Leggi i suoi articoliLa nuova presentazione della Collezione Bührle, dal titolo «Eine Zukunft für die Vergangenheit. Sammlung Bührle: Kunst, Kontext, Krieg und Konflikt» (Un futuro per il passato. Collezione Bührle: arte, contesto, guerra e conflitto) era stata inaugurata il 3 novembre scorso. Sembrava dunque sedata la lunga diatriba infiammatasi a più riprese da quando nell’autunno del 2021 il corpus di 203 opere del fabbricante d’armi tedesco naturalizzato svizzero, pesantemente coinvolto col nazismo, era stato alloggiato in comodato in un apposito ampliamento della Kunsthaus di Zurigo, progettato da David Chipperfield.
L’anno scorso il Comune di Zurigo, il corrispondente cantone e la Zürcher Kunstgesellschaft avevano inoltre ordinato una nuova ricognizione sulla provenienza delle opere e l’avevano affidata a Raphael Gross, attuale presidente del Museo di Storia Tedesca di Berlino. Invece che migliorare, la situazione aveva tuttavia subìto una brusca involuzione: pochi giorni prima dell’apertura il Comitato scientifico esterno, che nella preparazione della mostra aveva coadiuvato il team interno al museo, per protesta aveva rimesso in blocco il proprio mandato.
Lo scorso 27 ottobre un comunicato della Kunsthaus spiegava che vi erano state «divergenze sul peso da attribuire, nella nuova presentazione, ai destini individuali dei proprietari originari delle opere, divenuti vittime della dittatura nazionalsocialista». La direttrice del museo, Ann Demeester, constatava una collaborazione «improntata al rispetto reciproco. Volevamo una pluralità di voci. Dissenso e dibattito sono parte di questa mostra». Ma l’accordo con il Comitato «indipendente e competente» era venuto a mancare.
Il museo aveva però tirato dritto e aperto la mostra al pubblico: «Le opere non hanno parte nell’indescrivibile ingiustizia perpetrata al tempo del nazionalsocialismo. Ma forniscono una testimonianza e sono un’occasione per ricordare le vittime, riportare alla memoria i loro destini e il ruolo della Svizzera durante la seconda guerra mondiale», aveva detto ancora Demeester. Proprio questi elementi sono insufficienti, era stata la replica di Angeli Sachs, portavoce del Comitato dei sette esperti: «Nella presentazione, la creazione della collezione non viene affatto tematizzata e messa in collegamento con le dimensioni criminali delle razzie naziste né con la politica delle restituzioni dopo la seconda guerra mondiale». E un altro membro del comitato, Stefanie Mahrer, aveva lamentato: «È vero che i proprietari originari delle opere vengono nominati, ma il fulcro della mostra continua a essere Emil Bührle. Quelle transazioni avrebbero dovuto essere contestualizzate anche dal punto di vista di quei proprietari».
Nel frattempo nulla è cambiato nella posizione di stallo, ci dice il portavoce della Kunsthaus, Björn Quellenberg. Tuttavia il museo sta correndo ai ripari, e ha appena rilasciato un sito ad hoc con l’intento di contestualizzare maggiormente la collezione dal punto di vista sia storico che artistico e invitare gli utenti a interloquire via web. Dalla prossima primavera è prevista inoltre una serie di appositi interventi sia artistici che di riflessione, per agevolare «nuovi sguardi» sulla controversa collezione: «La mostra non è quindi una cristallizzazione bensì un passo verso un processo continuo di dialogo». Quando (presumibilmente a fine giugno) verranno resi noti gli esiti delle ricerche di Raphael Gross sulla provenienza della collezione si aprirà una nuova fase con l’aiuto di nuovi esperti esterni, «prima di presentare adeguatamente quegli esiti nella mostra».
Ne abbiamo scritto anche qui:
1) L'ombra della storia sulla Kunsthaus di Zurigo
2) Obiettivo: completa trasparenza alla Kunsthaus di Zurigo
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