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CONTINENTE ITALIA | La mappa di Vincenzo de Bellis

Collezionisti, critici, curatori, direttori di museo ridefiniscono i confini di un paesaggio molto più vasto di quello spesso soffocato da alcuni meccanismi del sistema dell’arte | 17

Vincenzo de Bellis

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Se è vero che l’arte prima del 1945 era dominata principalmente da categorie basate sui mezzi espressivi come pittura e scultura, dalla fine degli anni Cinquanta in poi si è assistito a uno spostamento verso quello che Peter Osborne definisce «un’ontologia post-concettuale e transcategorica rispetto alla materializzazione dell’oggetto», che in sostanza vuol dire il superamento degli incasellamenti di mezzi espressivi e la nascita di mezzi «in between» o «meta» mezzi, come la performance e l’installazione.

La conseguenza di tutto ciò è che gli artisti sempre di più non solo utilizzano mezzi espressivi diversi ma soprattutto si muovono liberamente tra discipline artistiche. Quindi mentre in passato un artista avrebbe potuto identificarsi come scultore, pittore, fotografo o regista, o anche coreografo, compositore o artista teatrale, oggi questi termini ristretti e settoriali sono sempre meno rilevanti. Gli artisti si muovono agilmente tra le discipline e i confini un tempo rigorosi che definivano le pratiche vengono continuamente erosi a favore di quello che ora si definisce, con una parola un po’ abusata ma che rende l’idea, interdisciplinare.

Si tratta di un termine per sua natura sfuggente, proprio perché definisce quelle pratiche che mescolano le discipline o i generi prestabiliti. In senso letterale il prefisso latino «inter» può assumere diverse sfumature: tra, in mezzo, reciprocamente, insieme o durante. Il significato cambia a seconda di queste sfumature. Inteso come «tra», infatti, potrebbe descrivere un’opera d’arte che scivola tra classificazioni convenzionali (ad esempio pittura, scultura, disegno). Inteso come «nel mezzo» o «insieme» assume un senso di centralità.

Cerco di spiegarmi: essere nel mezzo di qualcosa significa esserne al centro, sia in senso temporale («Eravamo nel mezzo della nostra conversazione») sia in senso spaziale («Ero nel mezzo della stanza»); la parola «insieme», invece, implica un significato di vicinanza e simultaneità. Tutto questo per dire che se le parole hanno un vero significato, definire l’arte interdisciplinare significa che essa non può essere tangenziale, ma è, invece, al contrario, nel centro della pratica contemporanea. Comprendere l’arte interdisciplinare in questo modo significa riconoscerla pienamente come fondamentale per la missione delle istituzioni d’arte e per il sistema dell’arte più in generale.

Io avevo iniziato ad affrontare la questione, senza davvero capirla nella sua complessità e dimensione, soprattutto in rapporto con la performance in Italia con la stanza centrale della mia mostra «Ennesima: Una mostra di sette mostre sull’Arte italiana», allestita alla Triennale di Milano nel 2015 e ora anche a livello internazionale con una vasta esposizione intitolata «The Paradox of Stillness: Art, Object and Performance» che si terrà al Walker Art Center a maggio 2021. Ma mi sono confrontato anche con il design quando nel 2016 abbiamo realizzato da Peep-Hole a Milano la prima personale di Formafantasma, quattro anni prima che la Serpentine di Londra gli dedicasse una mostra. Molto probabilmente sono arrivato al Walker Art Center, che è il museo interdisciplinare per eccellenza, proprio per queste caratteristiche curatoriali e grazie all’immersione in questo luogo, con la sua storia e con la sua mission, ho potuto ampliare ancora i miei interessi e soprattutto, spero, capirne molto di più.

Per questo, quando mi è stato chiesto cosa mi piacerebbe vedere di nuovo in una mostra sull’arte Italiana, o come adesso affronterei una mostra sull’arte italiana, non ho potuto non pensare che se volessimo essere realmente contemporanei nell’approccio dovremmo considerare l’allargamento dei limiti dell’arte visiva ad altre arti tra cui le Performing Arts (teatro, danza), il design, l’architettura, la moda e la Moving Image (cinema).

Allora penserei in primis a riconsiderare grandi figure come Enzo Mari, Romeo Castellucci e Virgilio Sieni, personalità di riferimento già super istituzionalizzate; ma per quanto riguarda le giovani generazioni penserei all’inclusione di artisti/designer come Martino Gamper, i già citati Formafantasma che ritengo essere una delle realtà artistiche tout cour più interessanti a livello globale, e Andrea Anastasio. Dal mondo del cinema penserei a figure come Pietro Marcello, i gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, Luca Guadagnino, che è già meritatamente una star internazionale, e ovviamente i gemelli Gianluca e Massimiliano De Serio, anch’essi passati con grande successo dalla videoarte al cinema vero e proprio.

Per quanto riguarda la performing art penso a personalità già all’interno del sistema dell’arte contemporanea come Alessandro Sciarroni, e il giovanissimo Michele Rizzo, ma anche compagnie di grande spessore ed esperienza come Kinkaleri. Per il mondo dell’architettura penserei a Ippolito Pestellini Laparelli. Per quanto riguarda la moda sono convinto che la visionarietà di Alessandro Michele sia una delle più interessanti espressioni del nostro Paese degli ultimi anni. È lui che nella presentazione della collezione donna autunno/inverno 2020 (febbraio 2020) ha realizzato un’operazione degna di una grande performance artistica con gli ambienti rovesciati (il pubblico che entra dal backstage, vestiaristi, sarte e modelli in scena che si preparano al ritmo del «Bolero» di Ravel) mentre la solita passerella è stata trasformata in una giostra che ruotava su se stessa con le modelle ferme come nel più tipico (anche se contemporaneo) dei tableau vivant trasformando la sfilata da presentazione a vera rappresentazione.

Un evento che, sia pur complesso e articolato visivamente, era al tempo stesso diretto e immediato. Un’azione che non ha fatto altro che fare riemergere in me la memoria di una frase iconica di Enzo Mari che mi aveva ripetuto in una nostra chiacchierata a casa sua nel 2014 e con la quale mi piacerebbe chiudere questo intervento come se fosse un manifesto di intenti: «Gli artisti antichi erano dei designer o dei sacerdoti. Realizzavano opere di significato collettivo che dovevano parlare a tutti, a diversi livelli». Che cos’altro aggiungere?

L’autore, direttore associato dei programmi del Walker Art Center di Minneapolis (ma anche ex direttore della fiera d’arte moderna e contemporanea miart) ha scritto questo testo quando Enzo Mari, cui era legato da rapporti professionali e d’amicizia, era ancora in vita


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Una mappa dell'arte italiana nel 2021
 

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Vincenzo de Bellis, 08 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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