Stefano Miliani
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Prima di demolire palazzi in apparenza senza interesse nell’antico centro storico di Camerino, colpito dal terremoto del 2016-17 (nelle Marche meridionali e nella Valnerina umbra gli effetti più pesanti del sisma si sono avuti con le scosse del 26 e 30 ottobre), bisogna chiedere a storici dell’arte e storici locali di valutare se sotto intonaci ottocenteschi o privi di valore esistono testimonianze medievali o rinascimentali di pregio: se esistono tali testimonianze, restauriamo quegli edifici, non demoliamoli. È la sintesi di un appello al Commissario straordinario per il sisma senatore Guido Castelli lanciato la scorsa estate da 13 firmatari tra cui storici dell’arte come Andrea De Marchi e Matteo Mazzalupi, storici locali, appassionati, l’archeologa Simonetta Stopponi, monsignor Sandro Corradini, il prete-archeologo e studioso locale don Stefano Carusi.
«Si rischiava di demolire alcuni edifici con facciate ottocentesche che non apparivano di interesse ma che erano frutto di una ricostruzione avvenuta dopo un terremoto di fine ’700 e sotto conservavano importanti testimonianze del ’300, del ’400 e del ’500», chiarisce don Carusi, il promotore dell’appello che aperto un dibattito nel paese marchigiano e dintorni. Nato a Camerino nel 1976, don Carusi ha partecipato a scavi a Orvieto e ha studiato archeologia dei culti nel Mediterraneo antico. «Si è demolito ad esempio un palazzo che appariva un insignificante edificio ottocentesco a mattoncini e intonaco, invece al di sotto aveva testimonianze trecentesche. È rimasto un ammasso di pietre antiche squadrate».
Con una ricostruzione «ancora in stallo, afferma don Carusi, chiediamo attenzione verso l’intero centro storico di Camerino, i cui criteri di recupero dovrebbero essere gli stessi applicati a Gubbio o ad Assisi. Siamo ancora in tempo per una lettura dell’importanza storica di tutti gli edifici e per una loro gerarchizzazione valutandoli una volta asportati gli intonaci». In assenza di «eminenze artistiche di rilievo si può demolire, ma prima si ascoltino anche storici dell’arte e storici locali. Varrà anche in future situazioni analoghe».
Con queste verifiche non si rallenta ancora di più la ricostruzione? Il sacerdote ribatte: «Punto primo: per accelerare la costruzione di un’autostrada si fa prima lo scavo archeologico preventivo, evitando così di trovarsi davanti a incognite che poi frenano davvero i lavori. Punto secondo: che cosa si vuole per una città artistica negli Appennini di dimensioni medio piccole se non mantenere le sue caratteristiche storico artistiche che potrebbero anche essere un piano di rilancio per il futuro? Vogliamo ricostruire in maniera raffazzonata e disordinata, distruggendo il paesaggio con costruzioni di cemento armato laddove c’erano costruzioni belle in un paesaggio armonico? Che senso ha? L’impegno economico è lo stesso e i tempi non differiscono. Un piano d’azione è necessario anche per ragioni statiche: restaurare filologicamente restituisce solidità agli edifici antichi anche in avvenire».
Nell’ipotesi di futuri disastri secondo il sacerdote-archeologo «manca una sorta di manuale di pronto soccorso artistico. Non può essere demandato tutto alla Protezione civile o agli scarsi mezzi delle Soprintendenze». Pr il borgo governato dal ’200 al ’500 dalla corte dei Da Varano don Carusi aggiunge una sua proposta: «Che senso ha ricostruire tali e quali gli obbrobri costruiti attorno alle mura negli anni ’70 e ora lesionati? Abbiamo l’occasione di migliorare il paesaggio e un centro storico che, da ottocentesco, può tornare, almeno in parte, medievale e rinascimentale. “Rottamare” l’edificio, liquidando economicamente chi non ricostruisce il brutto, è una soluzione più economica e non va scartata a priori».
«La questione è ben posta: è necessario salvare il più possibile delle cose antiche e importanti di Camerino. Però è fuori tempo massimo. Lo dico con tristezza: condivido l’appello, solo che andava fatto sei anni fa quando partivano le progettazioni, non a otto anni dal sisma quando la ricostruzione è già partita con tutte le difficoltà del caso», commenta lo storico dell’arte Alessandro Delpriori. Nato a Fabriano nel 1977, è docente a contratto nell’Università camerte. Rammenta che nel 2018 pose il problema l’allora soprintendente delle Marche Carlo Birrozzi: «A latere di una riunione del Consiglio superiore dei beni culturali tenuta a Matelica, dove ero sindaco, fu specificato che tutti i centri storici e magari anche ville rurali o altri palazzi dovevano essere studiati e preservati».
Andò altrimenti: «Fu scelto di non chiamare storici dell’arte e dell’architettura e il risultato è questo. L’architetto per velocizzare butta giù e rifà, è più facile che salvare il porticato nascosto nella muratura. Uno screening andava fatto cinque anni fa. Ma oggi? Un cittadino di qui, poniamo, vive a Civitanova Marche; tra due mesi iniziano il restauro della casa e gli dici “Fermo, dobbiamo vedere se ci sono portici nascosti sotto l’intonaco”? Quel cittadino denuncia tutti». Delpriori riconosce: «L’appello ha dato frutti, c’è dibattito, è stato necessario per capire che dove l’iter non è finito si può tornare indietro. Il soprintendente di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata Giovanni Issini ha chiesto una revisione a tappeto, ma il commissario per la ricostruzione ha risposto che non può bloccare una città intera. Erano i progettisti che dovevano rendersi conto del problema. E le autorizzazioni dell’Ufficio speciale della ricostruzione, della Regione, sono arrivate troppo velocemente. Ormai è andata».
Qual è la situazione odierna? «Camerino è ancora in condizioni impressionanti però, tutto sommato, le gru lavorano», osserva il professore ed ex sindaco. «La ricostruzione in generale? È cominciata con l’ordinanza numero 100 del precedente commissario Giovanni Legnini che ha sbloccato i lavori» e con il successore Castelli è andata avanti, commenta Delpriori: «è un pachiderma, tuttavia si muove».
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