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Elisa Carollo
Leggi i suoi articoliImmerso nelle pittoresche colline del Chianti, in Toscana, a poco meno di un’ora da Siena, Castello di Ama è una lettera d’amore alla terra, che fonde la passione per l’arte del vino e l’arte contemporanea in un’esperienza che cattura il «genius loci», l’essenza stessa di questo luogo ricco di storia. Il curatore Philip Larratt-Smith, che ha seguito a lungo il percorso della tenuta, la riassume nel libro Growing and Guarding come «un microcosmo di tempo, storia, natura e arte, che incarna uno spazio contenuto e intimo dove nulla è monumentale, grandioso o esagerato. Tutto si fonde armoniosamente con il paesaggio». Abbiamo incontrato Lorenza Sebasti, appassionata e collezionista italiana di vino e arte e anima principale dietro questa straordinaria storia che unisce viticoltura, arte e territorio, e fra i progetti pionieri nell’ambito di arte e impresa.
Partiamo dall’inizio: cosa pensa che l’abbia avvicinata al mondo del contemporaneo?
Il primo curatore che mi ha introdotto al mondo del contemporaneo è stato Giandomenico Semeraro con cui abbiamo collaborato nel 1994 e 1995. Abbiamo realizzato insieme due appuntamenti ad Ama intitolati «Ama l’Arte». A sua scelta ha invitato e curato la mostra di artisti contemporanei negli spazi interni ed esterni della Villa Ricucci.
Nel collezionare c’è sempre quel primo acquisto che sblocca il timore, e trasforma una passione in abitudine. Qual’è stata la sua prima acquisizione?Anche il mancato acquisto di un’opera può essere un momento di svolta. Marco ed io ci eravamo innamorati di un piccolo olio su tela di Man Ray in una galleria veneziana. Non lo abbiamo acquistato ma è stato un seme che ha sviluppato la nostra passione.

Un’opera di Daniel Buren esposta al Castello di Ama
Ad Ama ha saputo creare una integrazione unica ed estremamente organica fra arte, produzione vinicola e territorio. Che tipo di relazione e processi spera di attivare quando invita un artista contemporaneo a interagire con il patrimonio naturalistico e storico della tenuta?
Quando incontro un artista ad Ama cerco di essere trasparente e poter far parlare il luogo, la luce, il silenzio. Molte volte è proprio così. L’artista assorbe tutto e comprende e vede ben al di là di quello che io possa comunicare. Certamente sono molto consapevole dell’amore che mi lega a questo luogo ed il rispetto per per l’arte. Per Marco Pallanti e per me è sempre stato chiaro che l’arte a cui aspiravamo fosse concepita per durare nel tempo.
Anticipando in maniera molto naturale e avveniristica quelle che sono state poi definite come pratiche di arte impresa, corporate art e corporate collection, le opere d’arte ad Ama si integrano perfettamente con il territorio configurandosi come site specific. Possiamo parlare comunque di commissioni e di mecenatismo contemporaneo ?
Se effettivamente la definizione è esatta, l’approccio è però più legato alla natura ed alla magia dell’incontro tra persone, tra affinità direi di «sentire». La commissione nasce quando si capisce che l'artista saprà davvero interpretare in modo unico la nostra realtà.
So che ha anche una sua collezione poi personale. Ha un’opera a cui è più legato in collezione? Dove acquista con maggiore frequenza, e quali sono le sue principali fonti di informazione per rimanere aggiornata?
La nostra collezione personale riflette molti artisti che abbiamo invitato ad Ama o che mi sarebbe piaciuto invitare ad Ama. Tra le gallerie italiane ho una particolare ammirazione per Raffaella Cortese. Tutti gli artisti e le opere che lei sceglie mi sembrano dei capolavori.

Un’opera di Kendell Geers esposta al Castello di Ama
Al centro per lei rimane comunque la relazione con gli artisti e uno scambio continuo da cui nasce l’opera. Questo in qualche modo va già in controtendenza ai ritmi di consumo propri del Mondo dell’arte oggi. Come vede la sua evoluzione rispetto a quando lei si è avvicinata?
Purtroppo io sono una autodidatta indisciplinata però ho un cuore ed una passione che mi trascina. Sono consapevole che vedendo il bello dall’antichità ai giorni nostri si possa esercitare il nostro sguardo. Un’opera di un'artista che dieci o venti anni fa non riuscivo ad amare poi mi appare nel suo splendore.
Qual è quel «fattore x» che cerca in un artista e un’opera che fa sì che la sua narrativa e creazione possa essere rilevante per la collezione e per il nostro tempo?
Sicuramente mi sembra essenziale l’originalità del suo lavoro. Vedo se ha un suo linguaggio e se riesco a ritrovarmi nel suo percorso creativo. Mi affido ai sentimenti più spontanei. Leggo molto e seguo soprattutto il lavoro dei professionisti che stimo.
Individua uno o più temi predominanti, nella sua collezione?
Non direi che ci sia un tema predominante ma esiste un fil rouge che lega tutti i lavori ad Ama ed è quello della spiritualità, la possibilità di tutte le opere di farci ascoltare la nostra voce interiore.

Un’opera di Pascale Marthine Tayou esposta al Castello di Ama
Un’opera che si pente di non avere acquistato o un artista che vorrebbe avere invitato ad Ama.
Sicuramente Jannis Kounellis. In realtà lo avevamo invitato ad Ama. Nella mia famiglia è stato sempre presente nei discorsi. Io l’ho capito molto tardi ma quando doveva venire ad Ama, un paio di anni prima della sua morte, è capitata una sovrapposizione di appuntamenti con il nostro importatore del vino in America e così purtroppo ho dovuto rimandare quella visita. Effettivamente ripensando ai numerosi incontri e alle bellissime opportunità che abbiamo avuto mi dispiace proprio che non si sia realizzato questo sogno.
La sua collezione presenta una grande varietà in termini di medium, con installazioni e sculture anche impegnative, e di livello istituzionale. Da dove è venuta la motivazione di aprire parte della collezione al pubblico e cosa ha portato all’esperienza di insieme della tenuta?
La collezione è nata in modo molto spontaneo. Marco ed io stavamo restaurando la cantina di invecchiamento ed abbiamo voluto togliere una grande botte di castagno. Si rivelava a noi una splendida nicchia ed è stato proprio un richiamo per immaginare un installazione. In quel periodo i ragazzi della Galleria Continua avevano già realizzato diversi appuntamenti per Arte all’Arte invitando importanti artisti in Toscana, Abbiamo pensato di rivolgerci a loro per invitare Michelangelo Pistoletto di cui eravamo grandi ammiratori. L’incontro è stato bello e generoso, Michelangelo e Maria sono stati felici del nostro invito. Pistoletto ha realizzato questo splendido lavoro, un tronco alto quattro metri con una superficie specchiante all’interno. Divisione e Moltiplicazione dello Specchio. L’Albero di Ama: il progetto è datato 1999 e lo abbiamo realizzato l’anno successivo. Dieci anni dopo la collezione si era arricchita di meravigliose opere con cadenza annuale. Avvalendosi della collaborazione della Galleria Continua abbiamo invitato gli artisti a realizzare i lavori ispirandosi al nostro antico borgo, alla storia di questi luoghi e alla bellezza del dialogo con la natura. Nel 2009 con l’installazione dell’opera site specific «Topiary» di Louise Bourgeois in un pozzo di quella stessa cantina ho sentito l’urgenza di aprire al pubblico la nostra collezione.
Il rapporto fra Arte e Vino è sempre più popolare, arricchendo a vicenda i propri valori simbolici. Voi in qualche modo siete stati i pionieri. Come definisce, anche sulla base della vostra esperienza, le potenzialità di questo binomio e questo rapporto?
Io credo che il dialogo dell’arte contemporanea sia molto efficace quando si relaziona a degli spazi specifici. Nel mondo del vino abbiamo il privilegio di avere cantine storiche o contemporanee che possono essere davvero trasformate e rese più vive dalla presenza dell’arte , sia di opere site specific che di acquisti appassionati dei collezionisti.
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