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L’opera site specific «Il futuro non finisce mai di iniziare» di Marcello Maloberti alla Fondazione Golinelli

Photo: Giovanni Bortolani

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L’opera site specific «Il futuro non finisce mai di iniziare» di Marcello Maloberti alla Fondazione Golinelli

Photo: Giovanni Bortolani

Community Valore Cultura: la parola ad Andrea Zanotti e Giovanna Forlanelli

Le Fondazioni Golinelli e Rovati raccontano un modello dinamico di collaborazione tra privato e pubblico, capace di rigenerare il Paese attraverso bellezza, conoscenza e responsabilità condivisa

Nicola Davide Angerame

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Community Valore Cultura è una piattaforma inaugurata lo scorso 30 giugno che unisce le Fondazioni Golinelli, Bracco, Rovati, Elpis e Biscozzi Rimbaud, con TEHA Group a tenere le fila. Gli istituti culturali privati in Italia non hanno ancora una rappresentanza associativa; eppure, sono più di 1500, il 35% del totale, contano 30 milioni di visitatori e il 95% di gradimento: un patrimonio che va compreso, valorizzato e potenziato. In questa doppia intervista, Andrea Zanotti, presidente della Fondazione Golinelli e Giovanna Forlanelli, presidente della Fondazione Luigi Rovati, tracciano il profilo di una nuova alleanza culturale tra sapere scientifico e umanesimo, impatto misurabile e bellezza condivisa. Un modello integrato che guarda alla cultura non come decorazione, ma come motore di trasformazione civile.
Andrea Zanotti è Professore ordinario di Diritto canonico all’Università di Bologna. Ha coordinato il Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie e, dopo la presidenza della Fondazione Bruno Kessler e il contribuito alle politiche culturali trentine, è entrato nella Fondazione Golinelli, di cui è presidente dal 2016.

Professore, cosa contraddistingue la Fondazione Golinelli? 
L’insistenza sull’alleanza tra arte e scienza, due universi legati dalla categoria della discontinuità. Tecnica e IA si basano, a ben vedere, su modelli probabilistici; la conoscenza umanistica sulla capacità di vedere con la mente nuovi mondi. Nietzsche scrive che la scienza progredisce grazie all’immaginazione, e l’immaginazione nasce nel suo luogo elettivo, l’arte. Dunque, il gesto di Giotto che dipinge cieli non più oro ma blu è dello stesso segno di quello di Newton, il quale intuisce un nuovo modo di intendere l’universo dopo la caduta della mela in testa: entrambi operano in discontinuità col passato, aprendo a salti di civiltà. Quest’alleanza segnato l’Occidente per secoli: riannodarla è parte del nostro compito.

Cosa vi porta a co-fondare Community Valore Cultura?
È tempo di superare l’idea delle fondazioni come enti statici, legati a una logica di immobilizzo patrimoniale tardo-borghese. Se il loro capitale fosse pensato come risorsa dinamica, come accade già per le fondazioni bancarie, l’impatto sul Paese sarebbe profondo.

Può fare un esempio?
Abbiamo usato la somma destinata a dote da Marino Golinelli come garanzia verso terzi, ma il vero motore è il fondo di gestione, più ampio e utilizzato come investimento. Seguendo questa logica, i privati darebbero un contributo più incisivo.

Come cambierebbe il panorama italiano?
Circolerebbe una maggiore ricchezza, con vantaggio di tutti; il settore culturale potrebbe diventare imprenditoriale. Non significa fare profitto, ma reinvestire l’utile in attività. La nostra area educational, ad esempio, vanta ritorni, in alcuni casi, superiori al 60%.

Cosa insegnate ai vostri ragazzi?
A fare cose, oltre che utili, belle. Nel nostro opificio, assolutamente strategico, si lavora tra scienza e creatività. Quando abbiamo capito che la sola sussidiarietà non bastava più, abbiamo creato un nuovo metodo e aperto una scuola media paritaria, oggi un nostro punto di forza.

Perché lo avete fatto?
Le professioni non sono più codificate e la trasmissione del sapere sta cambiando. Mettiamo sul mercato del lavoro post-laureati già troppo avanti con l'età, valorizziamo tardi la creatività e perdiamo talenti tra i 15 e i 18 anni, cruciali per un Paese di grande tradizione manifatturiera come il nostro. Serve ripensare il sistema.

Da dove partire?
Da un intervento normativo, per esempio, che incentivi questi transiti: la defiscalizzazione delle donazioni alle fondazioni. Oggi si pagano tasse sia in entrata che in uscita, scoraggiando i donatori; è una distorsione giuridica, oltre che fiscale, che andrebbe corretta.

Cosa dovrebbe fare la classe dirigente?
Superare l’idea del mecenatismo come semplice orpello. La cultura italiana ha sempre guardato con sospetto ai privati, a differenza del mondo anglosassone, dove è normale che i donatori sostengano attivamente il sistema educativo.

Come giudica la Community?
Da professore di diritto canonico vedo una ricchezza paragonabile a quella degli ordini religiosi nella Chiesa: un arcipelago di fondazioni con carismi diversi, che insieme creano valore. Una pluralità di visioni ed apporti che lo Stato, da solo, non può garantire.

 

Andrea Zanotti, presidente della Fondazione Golinelli

Giovanna Forlanelli, medico e collezionista, ha ricoperto ruoli manageriali nell’azienda farmaceutica di famiglia. Nel 2005 ha fondato la casa editrice Johan & Levi e, nel 2016, insieme al marito Lucio Rovati e alla figlia Lucrezia, crea la Fondazione Luigi Rovati, di cui è presidente. La Fondazione promuove il dialogo tra arte etrusca e contemporanea attraverso ricerca, mostre e progetti di welfare culturale.

Perché avete scelto l’archeologia?
Era un nostro grande interesse. Sarebbe certamente stato più facile aprire un altro museo di arte contemporanea, ma abbiamo preferito studiare l'offerta cittadina e colmare un vuoto presente a Milano, acquistando collezioni mirate. Il background manageriale distingue le fondazioni di Community Valore Cultura. Sì, e ciò nonostante si tratti di fondazioni familiari e non aziendali, e nate per portare avanti progetti strategici guidati dalle visioni dei nostri fondatori.

Siete appena nati, quale sarà il primo passo?
Misurare l’impatto socioeconomico; se quello economico si calcola con relativa facilità, quello sociale è molto più complesso. Anche realtà come Federculture e Brescia Musei lavorano in questa direzione. Valutare i cambiamenti che generiamo può fare davvero la differenza. In Italia si parla spesso di “sistema cultura”, ma musei e fondazioni sono ancora percepiti come fané, nonostante presentino esperienze di grande innovazione.

A livello europeo esiste una metodologia condivisa?
Non ancora, stiamo tutti cercando un algoritmo efficace che sappia cogliere le molte specificità presenti e derivanti dalle dimensioni, dai settori e dai contesti in cui operano le singole fondazioni.

Come state operando?
Abbiamo avviato una sperimentazione con un questionario sulle nostre mostre. Condividiamo pratiche e idee. Grazie al nostro know-how scientifico, lavoriamo su piccoli numeri per validare un metodo applicabile a numeri più grandi. Usiamo anche indici d'impatto già sperimentati, come utilizzato della Bocconi per l'Expo di Milano, che abbiamo applicato anche alla costruzione del museo della Fondazione Rovati.

Quali risultati avete registrato?
Il nostro impatto economico è stato tre volte l’investimento sostenuto. In una recente ricerca Mario Abis, professore di statistica all'Università IULM, ha stimato che la Grande Brera, con Palazzo Citterio, potrà generare 1,5 miliardi, ciò cambierà il tessuto urbano.

Quanto conta per voi la sperimentazione?
È fondamentale. Bracco, ad esempio, sostiene progetti tecnologicamente avanzati per la cultura, evitando la sponsorizzazione tradizionale, come nel restauro in diretta del Pollaiolo al Poldi Pezzoli. Anche la Fondazione Elpis di Marina Nissim promuove iniziative innovative come Una Boccata d’Arte, che porta artisti e attività creative nei piccoli borghi di tutta Italia.

Quali altri obiettivi avete?
Fare advocacy per l’intero comparto. Si parla di collaborazione pubblico-privato, ma manca un modello reale. Il Codice del Terzo Settore può colmare questa distanza, perché vede il privato progettare con o per l’ente pubblico. La nostra voce vuole essere corale, per contare davvero. In prospettiva, vogliamo coinvolgere anche realtà minori o geograficamente «periferiche».

Cosa distingue le vostre fondazioni dal settore pubblico?
La forza di decidere rapidamente, assumendoci la responsabilità anche degli errori, che spesso diventano occasioni di miglioramento e crescita.

Forse, grazie a questa nuova alleanza pubblico-privato e arte-scienza che proponete, l'Italia potrebbe diventare un Paese guida nel mondo?
Credo di sì, in estremo Oriente c’è già un grande interesse per le best practice italiane. In Fondazione, per esempio, abbiamo già accolto grandi collezionisti dalla Malesia e dalla Tailandia interessati al nostro modello espositivo ed architettonico.

Giovanna Forlanelli, presidente della Fondazione Rovati, nella Sala Ontani. Photo: Giovanni de Sandre

Nicola Davide Angerame, 15 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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